mercoledì 22 giugno 2011

Nota su "L'orrore di Hiròshima", di Franco Daleffe e Roberto Marchi

Nota
al libro
L’orrore di Hiròshima
di 
Franco Daleffe, Roberto Marchi



Una giusta simbiosi la plaquette dei due artisti tra quadri pittorici e immagini poetiche degna di rendere eterna nella memoria una sciagura che l’intera umanità vorrebbe cancellare. Errori, incidenti di percorso, momenti di alta drammaticità tra i tanti altri successi nella storia, ma mai, tanto crudeli come questo, causato da un’intelligenza così sofisticata nel dare la morte. L’analisi è scandita da particolari raccapriccianti e al contempo esaltanti per la realtà e la crudezza  poetica con cui sono delineati. Si scende a fondo. L’obiettivo circoscrive e delimita sempre più i quadri fino ad essere impietoso. Si morde il contenuto con uno sguardo spesso al di sopra del fatto, con una partecipazione verghiana, che rende ancora più obiettivo e crudele l’avvenimento. Il linguaggio endecasillabo nuovo, rivisitato nella sua modernità aritmica di enjambements, ci aiuta a vivere il dramma con un registro che si fa quasi prosa coerente e lineare. Le citazioni potrebbero essere prese a caso e tutte darebbero conferma dell’alto livello artistico e umano che l’autore riesce a trasmettere. “Si compie / il sacrificio alla follia dell’uomo.” (I). “Immane fiotto smosso dalla bomba.” (II). “Tutto è contorto, tutto è arso.” (IV) “Le gocce di morte. / Le ceneri si posano letali.” (V). “- Acqua, acqua, datemi acqua -, disperati / gridano i feriti (...)” (VII). “A vomito, urina e feci si mischia / pelle molle staccata dalle membra / martoriate, devastate dal fuoco.” (VIII). “Una donna cercava il suo bambino./(...) Accanto al suo bambino diventò folle.” (II). Chiudere con gli ultimi versi del libro di Roberto  Marchi è la migliore affermazione che possa scaturire dall’anima della lettura “Le anime e le menti / tremano ancora. / Il dolore del mondo / è conoscere che le loro lacrime / asciutte non servono ad evitare / l’orrore di nuovi folli olocausti.”.


Nazario Pardini





Commento
a
L’orrore di Hirishima
                                           di
Daleffe - Marchi

 La prima cosa che colpisce durante la lettura è proprio, come giustamente afferma la motivazione, questa sinergia tra aspetto iconografico e ricchezza poetica. Daleffe con le sue chine stilizzate, colte nei momenti espressivi di un terrore dal sapore dantesco, e con una progressione di immagini che si fa sempre più psicologicamente sconvolgente, supporta i bei versi altrettanto secchi e incisivi di Marchi.
Il bombardiere, la nube, sirena, caos, cadaveri per le strade, fino a pazzia e suicida, sono i titoli dei quadri che ritrattano in maniera emotivamente crescente le diverse fasi della tragedia fino all’esplosione della pazzia e del suicidio.  
           Come dice Raffaele Degrada - Daleffe ha inteso stilizzare l’immenso dolore, senza fare decorazione; si è trovato nella difficile condizione di uno che voglia rappresentare il non rappresentabile, perché Hiroshima non è rappresentabile.-
           E anche il poeta Roberto Marchi fin dai primi versi di Dedica ci mette di fronte a un dire poco elaborato, quasi narrativo, per raccontare con il più grande realismo, senza fronzoli, quelle immagini. Un disegno altrettanto stilizzato dei momenti di quel drammatico 6 agosto ‘45.
           “Sono sicuro di sapere dove / adesso vivi, piccola bambina / di Hiroshima...” Dedica
E tutto il libro è sorretto da uno scheletro metrico prevalentemente endecasillabo, che non tiene conto delle regole dello stesso metro poetico, ma spesso sversato rende ancora più immediato, meno armonico, e più crudo il fatto narrato.
           Direi, l’insieme, una grande commozione covata negli anni ed esplosa infine nella suggestiva pagina di un esperto cesellatore di sintagmi poetici, disposto a rinunciare ai colori dell’iride a vantaggio dei chiaroscuri.

Nazario Pardini

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