mercoledì 22 giugno 2011

Nota su "Un sangue che ubriaca" di Giacomo Interlandi e su "All'azzardo dei giorni" di Maria Bianchi Cecchini

Nota
alla Silloge
Un sangue che ubriaca,
di
Giacomo Interlandi

La silloge trae il titolo da una poesia dove più intensamente e con maggior vigoria si vive l’interrogativo esistenziale del distacco e della memoria, motivi centrali dell’opera. Io non so se vivi-padre- / oltre le rosee nubi /di fenicotteri impazziti / o se sei di cenere / sotto le coltri eteree del tuo baratro. E il padre, la madre, il Simeto o altri luoghi della vita del poeta si fanno interlocutori e motivo di ancoraggio a un memoriale dispiegato su pièces di ampio respiro, costruite su versi liberi, ma sapientemente orchestrati. E’ soprattutto quello del ritorno uno dei temi di maggiore intensità lirica: Come un appuntamento / è il mio ritorno alla tua foce [...] E la fiaba, i meriggi di farfalle, il mio mare, lo scafo azzurro, come ogni altra configurazione naturale,  sono tanti momenti di un’anima tesa a concretizzarsi in immagini di grande intensità poetica.


Nazario Pardini



Nota
alla Silloge 
All’azzardo dei giorni
di
Maria Patrizia Bianchi Cecchini

                          
La silloge All’azzardo dei giorni si snoda su un percorso poetico variegato per stile e costrutti metrici, ma compatto nel vivere una poesia che sciora melodie esistenziali. Vale la pena “soli al timone seguire una stella / che ci consenta un attimo di sfida”, se “Tra i quesiti irrisolti / dalla pallida cenere divampa / un balenìo di fiamma:” Ma su di noi - ci dice l’autrice - dalla memoria che sempre più si fa rara arrivano segnali di un tempo incombente e rapace e “... il vento sfiora le corolle molli / dei crisantemi sulle ciglia chiuse / tintinna gli echi delle vecchie croci / e le lapidi stanche, / evoca un coro di voci sommerse /...” (Requiem). Anche se il vespro ripete incerte aspettative del domani, la chiusura dell’opera tende ad amplificare l’anima poetica fino a cogliere un ritorno che s’impone sopra l’ala sconfitta del rimpianto.
Quello di Patrizia si configura come un tessuto tutto affidato al potere significante del termine: parole scelte, arricchite da una aggettivazione meditatamente vissuta. Una sapiente modulazione di versi tesi a contenere spinte emotive che sortiscono lampeggianti segnali espressivi.
Nazario Pardini

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