mercoledì 22 giugno 2011

Note su Teodora di A. La Rocca

Nota 
a
 Teodora
di Aristide La Rocca


"Forse in Dio matura o se è fortuna
non l’ho dietro la porta mia di casa."

La lettura di Dante nel prologo è personale, polposa, irridente, ironica, sapiente e levata a tanta soglia quanta si può permettere una penna ricca, acuta e mordace.
      Il gioco aulico-arcaico della parola dà icastica al succo del tema trattato che soprattutto nella similitudine “Sì aduggia ‘tornar retro, onde trasale, / quello stanco viandante , cui la strada / cosa carpì ch’a lui più essenziale, / Or nell’incerto smemora, s’agghiada, / ... /Tal mi fec’io, quando, in onestade, / ridussi per Cleopatra e Teodora, ...” raggiunge il culmine della sonorità linguistica e della plasticità visiva (tanto care al Poeta).
Quanto a Teodora la complessità della vicissitudine esistenziale prevale, nell’opera, sul susseguirsi delle vicende storiche. Nella trama queste sono appena sfiorate per concentrare, potenziare e scandire ancora di più l’interiorità del personaggio. “Al Kynegion si corre e si gareggia / con carri forza d’uomini e animali / le fiere più feroci catturate / sfidate son da prodi e trucidate.” “Ora dispiace a voi ma afflitte noi / diamo un triste spettacolo. Non siamo / affamate se ci provvede Cristo / quando bussiamo o bussano alla nostra / porta.” “Siamo cristiani azzurri come il cielo loro / verdi terra colore da bandiere.” “Come bello e divino più d’Apollo / e più regale di mio padre Eete / o Giasone Giasone sei la luce / del mezzogiorno estivo quando i grilli / dormono si svegliano le cicale / e i chicchi pieni di farina incurvano / le spighe...”
      Dai fatti dell’ippodromo, alla fase che vede Teodora artista di teatro e cortigiana poi (ben illustrata questa in Procopio di Cesarea), alla scena della crisi mistica e della vita meditativa dove ancora di più esplodono colore e vivacità emotiva. “E’ la mano di Dio. I miei tesori / un po' d’acqua in quest’otre una collana / un pane qualche pesce affumicato / la mia arte e due ori a barattare / per arrivare a Costantinopoli. / Non basterebbero. La carità / l’aiuto è dono certo della fede. / Il riposo un sermone un po' di cibo / ristoreranno cuore mente e membra.” “Se in te la mente è vigile e la fede / l’opera umana reputa e sostanzia / frate la porta nostra è aperta a tutti. / Dio non ci ha creato per la carne / solo peso e sovente sofferenza. / Se in te v’ha credo e opere ben vieni.” E il passeggero: “Quel che non posso domandate. Io / non ho coscienza di cielo. La terra / ancora troppo mi trattiene. Addio.” contribuisce a mettere ancora più in risalto l’interiorità di Teodora.
      I dati storici si possono appena ricavare da qualche sequenza introspettiva; utili a ingigantire la forza della fede e della speranza. La rivolta di Nika suscitata dai partiti dei verdi e degli azzurri contro il potere e la dissuasione dalla fuga per salvare il trono di Giustiniano. Tutto lo spazio è lasciato alle emozioni, alla robustezza del pathos di un animo tanto complesso quale quello del personaggio principale. Risaltano così il monofisismo e gli intenti per la sua affermazione in Teodora, sebbene vani contro un Giustiniano sempre fedele all’ortodossia.
      Momento di alta liricità umana e di grande vena d’ispirazione la scena dell’interno ad Alessandria. “Come colui che disse non son degno / per mano tua accetterò l’ostello / del Signore porto che salva padre / dalla tempesta di questa mia vita / priva d’onde ma naufraga di sabbia / là in quel mare di terra sprofondata / da mano scellerata che mi attrasse / per sua lascivia. ... / Erano i sandali pressoché logori / le piante dei miei piedi esulcerate / le mani inefficaci a interdire / la sabbia nel respiro.”
      Credo che le vicende umane, ben analizzate con spiccata abilità d’introspezione da parte dell’autore, facciano di quest’opera uno spaccato che va oltre i tempi, facilmente riconducibile alle inquietudini del mondo contemporaneo.
       Ma il culmine dell’emotività si ottiene senz’altro quando Teodora si libera        bruscamente dei monili e di una collana e a forza li mette nelle mani della mendicante: “Tieni ma non è questa un’elemosina. / scarso compenso alle tue verità.” “Mia signora il vostro nome vorrei / solo per gratitudine esclamare.” “No levati.../ Tra te e me quale diversità. / Ero quasi ridotta come te. / Sperimentavo il peggio della vita. / Ma ebbi sangue ad inarcare il dorso. / La fortuna non sta dietro le porte / ... / Giunse anche per me. Giunsero tutti / i migliori momenti. Ne manca uno / ... / Hai figli maschi.” “Il primo sì e l’ultimo. La femmina / ora è molto malata smunta pallida.” “Curala. Non curare dei gioielli. / Ecco prendi la borsa mia coi soldi. / A tuo pari più povera. Mi manca / quel frutto che un grand’uomo mi comanda. / Forse in Dio matura o se è fortuna / non l’ho dietro la porta mia di casa.” Qui il senso della sacralità della vita si unisce alla passione e all’amore per un bene ancora più grande. l linguaggio si adatta in maniera magistrale alla varietà dei sentimenti e dei personaggi. Si impreziosisce ora, ora si fa più semplice, pur conservando sempre un’affascinante registro di musicalità offerto da un endecasillabo reso quasi prosastico dal perpetrarsi degli enjambements.  

22-04-003

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