lunedì 7 maggio 2012

Simonetta Longo, tre poesie edite ed inedite


LA MAGA

Previsione dal dipinto
J. W. Waterhouse, Circe invidiosa

Non potevo trattenerti

era scritto nelle linee del tempo

nonostante le esche

e le rose nere di parole

che avevo evocato per te

non si può fermare la primavera

e asciugare la sete di nuovi orizzonti

dagli occhi

non potevo trattenerti

ambivi ad una terra da riconquistare

la tua

e io offrivo solo canti notturni

ora guardo la tua nave d’assenza

abbandonarmi

in un silenzio di sabbia

quando giunge l’autunno

non potevo trattenerti

dovevo saperlo

−hai occhi di cielo−

Non si può innamorarsi di te

Ulisse



(La poesia La Maga è stata pubblicata sulla rivista letteraria "Pentelite 2012")


© Simonetta Longo






NIKE (MUTILATA)  

Previsione dalla scultura

Nike di Samotracia
Mi dà brividi il vento

troppo leggera è la veste

sotto cui freme il marmo pario

ma devo forzare le ali

all’impeto:

Ecco la triremi!

Vi annuncerò la gloria, soldati,

dall’ombelico che vi ispira

già sulla prua

il piede destro si posa

a mietere attese

con petto proteso

all’offerta

Eppure qualcuno osò

profanarmi il sogno

(e ancora mi si chiede

dove smarrii le braccia

la testa)

È questo vento

non dà tregua al possesso

pieno

d’ogni mia forma

e l’unica mano divisa

sarà sospesa tra un saluto

e il nome in cui mi chiamano:

Vittoria


(Inedita)



© Simonetta Longo

simonetta.longo@gmail.com





L’OSSESSIONE DI DALÌ



Previsione dal dipinto

S. Dalì, Reminiscenza archeologica dell’Angelus di Millet
Siamo continenti alla deriva

non guarderemo mai lo stesso orizzonte

e non pronuncerò mai il tuo nome, il tuo nome Amore

i tuoi occhi saranno voli di corvi ad Ovest

i miei occhi languori in un’alba di stelle

andrai lontano

ogni giorno un passo

oltre i confini di noi

in un crollo di inviolabili colonne

guarderò la tristezza della tua ombra

che dilegua in questo cielo venato d’abbandono

e lampi di malinconie

trafitta dai pini del ricordo

la mia anima abbraccerà il silenzio

di un addio taciuto

echi di me ti attraverseranno

come crepuscoli di parole e poesie

nelle fessure del tuo essere di pietra

siamo anni che si rincorrono

non conosceremo mai lo stesso istante

e non pronuncerai mai il mio nome, il mio nome Amore.

(Inedita)




© Simonetta Longo

simonetta.longo@gmail.com




NOTTURLABIO

PREVISIONI DALL’OMBRA



Notturlabio, di prossima pubblicazione, è un classico libro di carta, e dunque da sfogliare;  ma è anche un’opera multimediale da ascoltare e da guardare:  i versi, che prendono forma e ritmo sulla pagina bianca, sono spesso  una trascrizione delle sensazioni prodotte da dipinti famosi (Dalì, Munch, Waterhouse, ecc.), da brani musicali (che spaziano dalla classica al rock anche più duro) – e, in alcuni casi, anche  da profumi e da altri stimoli. E chi legge può seguire lo stesso percorso sensoriale – e, soprattutto, del cuore – dell’autrice: accanto alle liriche sono infatti indicate le opere figurative e i brani musicali di riferimento, mentre in fondo al volume sono riportate le tavole delle ecfrasi (ricordiamo che l’ecfrasi è un procedimento descrittivo molto antico, il cui esempio più noto è la descrizione in versi dello scudo di Achille nell’Iliade di Omero).



Notturlabio è diviso in sei parti: vista, odorato,  gusto, udito, tatto e  quinto senso e mezzo (il titolo di quest’ultima sezione è un tributo  della poetessa – laureata all’Università di Lecce con una tesi sul Mefistofele di Arrigo Boito – al fumetto Dylan Dog). Il volume raccoglie una serie organica di previsioni sensoriali: così vengono definite le poesie con allusione a quel residuo di profeticità ancora presente nelle donne e negli uomini d’oggi, perché il mondo della profezia e del mito è sempre stato considerato – fin dall’antichità – un territorio abitato dai poeti.



Notturlabio si configura, pagina dopo pagina, come un’opera visionaria vicina, per alcuni aspetti, al Decadentismo e alla poesia simbolista francese (ma anche al Romanticismo inglese, popolato di maghi, cavalieri, dame e mostri): la poetessa come veggente, il ricorso a figure retoriche quali la sinestesia, il linguaggio evocativo, lo scardinamento dei nessi logici del linguaggio tendono a configurare le liriche di Notturlabio come profezie notturne in tutti i sensi. L’esperienza sensoriale, sembra suggerire l’autrice, è anche un’esperienza extra-sensoriale; e ogni previsione è una chiave letteraria per aprire la porta della fantasia ed esperire l’Ignoto (che è anche il nostro lato scuro), attraverso un piccolo oggetto astronomico – il notturlabio appunto –.



        © Mario Buonofiglio

mario.buonofiglio@gmail.com



© Simonetta Longo

simonetta.longo@gmail.com







 
L’ULTIMA EMOZIONE DELLA MAGA CIRCE

(Un’interpretazione della lirica La maga
di Simonetta Longo)



L’isola
Quanto tempo è passato da quella primavera, quando i Greci giunsero all’isola incantata e furono trasformati in porci, tutti tranne Ulisse? Guardando la nave allontanarsi, Circe ricorda ora solo un frammento della formula magica, composta di rose nere di parole, con la quale aveva irretito Ulisse e risvegliato il lato oscuro dell’amore.

La nave
Intanto, sulla nave, Ulisse (dall’agile mente) ricorda ancora il giorno dell’approdo
«Ecco, ed all’isola Eèa giungemmo, ove Circe abitava,
Circe dai riccioli belli, la Diva possente canora…»[1].
L’isola
Circe aveva evocato  quelle parole per incantare e trattenere (inutilmente!) Ulisse presso di sé; ed ora,  abbandonata in un silenzio di sabbia, continua ostinatamente a bisbigliare sempre lo stesso residuo ritmico, l’unico frammento che riesce ancora (fino a quando?) a ricordare.

Il frammento “ritrovato” dell’ultimo canto di Circe
Nella raccolta poetica Notturlabio, previsioni dall’ombra della poetessa Simonetta Longo troviamo la lirica La maga:[2]


Non potevo trattenerti
era scritto nelle linee del tempo
nonostante le esche
e le rose nere di parole
che avevo evocato per te
non si può fermare la primavera
e asciugare la sete di nuovi orizzonti
dagli occhi
non potevo trattenerti
ambivi ad una terra da riconquistare
la tua
e io offrivo solo canti notturni
ora guardo la tua nave d’assenza
abbandonarmi
in un silenzio di sabbia
quando giunge l’autunno
non potevo trattenerti
dovevo saperlo
−hai occhi di cielo−
Non si può innamorarsi di te
Ulisse
In questa lirica l’autrice “ricostruisce”, attraverso un frammento ritmico del canto di Circe, gli ultimi istanti di un incontro (durato una stagione? un’ora soltanto?).

Questa è la trascrizione del frammento che Circe, invasa dalla tristezza, ricorda ancora a memoria:[3]

– – + – – – + –                        
– + –          

Le parole corrispondenti a questo ritmo ancestrale sono:

Non potevo trattenerti, Ulisse

– – + – – – + – || – + –       (8 + 3 = 11)   

Il secondo verso della lirica La maga contiene dunque il ritmema predominante, il motivo musicale.


Il ritornello non potevo trattenerti (ripetuto tre volte)

– – + – – – + –      (8)   

esprime la mancanza (ritmica) di Ulisse

– + –      (3)     

Perché il Greco, nonostante le esche che la maga aveva evocato, sta ora abbandonando quella Terra di mezzo che è l’isola Eèa, sospesa tra il desiderio dell’incantamento e il dover essere ciò che si è. Il destino di Ulisse era già scritto: ritornare ad Itaca.

La nave
Ulisse ha alzato le vele e naviga verso la sua petrosa Itaca, ora che il sole sta tramontando sul mare immergendosi tra le onde, e la tenebra giunge. E, all’improvviso, il marinaio sente un brivido, avverte che la maga sta scrutando l’orizzonte dalla spiaggia. Sente il sibilo, quasi impercettibile, della sua lingua.

L’isola
Perché Circe non può più trattenere Ulisse, identificabile con  il trisillabo – + –? Perché 

era scritto nelle linee || del tempo

– – + – – – + – || – + –           (8 + 3 = 11) 
 
Nel ritornello – – + – – – +  (8) manca appunto il tempo – + – (3), perché il tempo dell’incanto è fuggito e, con esso, Ulisse  – + –  (3).     

La nave
Veleggiando verso l’ignoto, Ulisse attende con inquietudine il sorgere del Sole, mentre la nave va –verso dove? Ascolta il sussurro del mare e le voci umane dei suoi compagni, che giocano ai dadi, ignari del loro futuro. E dice le chiare parole:

«Amici, qui non si sa da che parte sia l’alba e il tramonto,
né da che parte il Sole fulgente discende sotterra,
né da che parte sorge…[4]»


Il segreto dell’Isola e i marinai
L’isola misteriosa alle loro spalle, il territorio di Circe, è un luogo oscuro (i marinai inorridiscono al ricordo):

«Circe, condottili dentro, su seggi e su troni li assise,
cacio per essi intrise, con miele dorato e farina,
con vin di fiamma; e filtri maligni mescé ne l’intriso,
ché della terra nativa ricordo nei cuor non restasse.
Or, poi che Circe ebbe offerto, quegli altri ingoiato l’intriso,
li colpì con una verga, li rinchiuse dentro il porcile;
e tutto avean già l’aspetto di porci: grugnito,
setole, grifo: solo la mente era quella di prima.[5] »


L’isola di Circe è dunque il luogo dell’oblio, della dimenticanza. Ma è anche il luogo dove la bestialità prende forma. Partendo, i marinai si lasciano alle spalle il proprio lato oscuro.

La “ricostruzione” del canto di Circe nella lirica La maga
La poetessa Simonetta Longo ricostruisce, a partire dal frammento ritmico, l’intero canto (nello schema segnaliamo il ritmema predominante della lirica):

Non potevo trattenerti                                          – – + – – – + –  (8)                   
era scritto nelle linee del tempo  – – + – – – + – || – +  (8+3=11)
nonostante le esche
e le rose nere di parole
che avevo evocato per te
non si può fermare la primavera
e asciugare la sete di nuovi orizzonti
dagli occhi                                                                             – + –  (3)                   
non potevo trattenerti                                           – – + – – – + –  (8)
ambivi ad una terra da riconquistare
la tua                                                                                      – + –  (3)                   
e io offrivo solo canti notturni       – – + – – – + – || – + – (8+3=11)
ora guardo la tua nave d’assenza   – – + – – – + – || – + – (8+3=11)
abbandonarmi
in un silenzio di sabbia
quando giunge l’autunno
non potevo trattenerti                                            – – + – – – + –  (8)
dovevo saperlo
−hai occhi di cielo−
Non si può | innamorarsi di te        – – + – – – + – || – + – (8+3=11)
Ulisse                                                                                      – + –  (3)      
E ora, continuando a guardare la nave allontanarsi dall’Isola, Circe biascica alcune parole: non si può innamorarsi di te, Ulisse; e nel sibilo delle due “esse” è evocato il nome di Ulisse.

Il sibilo
Nella lirica La maga, un’interpretazione moderna e magistrale della figura di Circe, la poetessa Simonetta Longo ha disseminato le sibilanti (che alludono alla presenza−assenza di Ulisse) dosandone il suono ad arte:
nonostante le esche
e asciugare la sete
la tua nave d’assenza
un silenzio di sabbia
non si può innamorarsi di te
Ulisse


Nell’isola Eèa nulla è come appare, e tutto muta diventando ciò che è. E Circe, dopo aver accarezzato il sogno −impossibile– di essere donna (e dunque umana!) si sta trasformando nuovamente in un animale a sangue freddo che non prova emozioni − in una serpe?

Nelle ultime sillabe pronunziate da Circe s’avverte ancora un’ultima nota umana: u-lis-se. E poi il linguaggio articolato scivola verso suoni incomprensibili, sibilanti:
ssssss…

La metamorfosi dell’incantatrice è ora completa; Ulisse ha abbandonato Circe in un silenzio di sabbia, al suo destino d’animale, che è –anche e soprattutto− l’assenza di memoria.

© Mario Buonofiglio
mario.buonofiglio@gmail.com



[1] Odissea X, vv. 135-136, traduzione di Ettore Romagnoli. Il grecista traduce l’esametro omerico utilizzando un settenario o un ottonario con accenti ritmici fissi sulla 1a, 4a e 7a sillaba, seguito da un novenario o, più raramente, da un decasillabo. Rispetto alla soluzione adottata da Giovanni Pascoli, che utilizza un verso lungo composto di diciassette sillabe con accentazione fissa (vedi la prefazione), i versi del Romagnoli risultano meno monotoni all’orecchio.
[2]  La maga è un’ecfrasi (il dipinto di riferimento è Circe invidiosa di J. W. Waterhouse). La lirica è proprietà letteraria di Simonetta Longo, pubblicata per gentile concessione dell’autrice.
[3]  Il “+” più e il “–“ meno  indicano le sillabe accentate e no.

[4]  Odissea X, vv. 189-191, trad. cit.
[5]  Odissea X, vv. 232-249, trad. cit. Si segnala il verso “ché della terra nativa ricordo nei cuor non restasse”, che fa pensare a un verso dei Pastori di Gabriele D’Annunzio: “rimanga ne’ cuori esuli a conforto”.

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