martedì 10 luglio 2012

Michele Battaglino. Poesie edite ed inedite


         Michele BATTAGLINO




BREVE NOTA BIOBIBLIOGRAFICA


Michele Battaglino, nato a Genzano di Lucania (PZ) il 22-3-1944, si è formato culturalmente a Potenza, Bari e Pisa, dove si è laureato in lettere classiche. Per venti anni docente di italiano e latino nel liceo scientifico del suo paese, è stato, poi, preside di liceo classico a Susa, Volterra e Pisa (in cui risiede da diversi anni). Dal 1991 al 1997, come membro del Consiglio Direttivo dell’IRRSAE della Basilicata e responsabile del servizio “Metodi e tecniche della ricerca sperimentale” nella scuola superiore, ha partecipato in qualità di relatore a vari convegni nazionali e ha tenuto in Basilicata corsi di aggiornamento per docenti, soprattutto sulle metodologie dell’insegnamento del latino, compresa la cosiddetta didattica breve. Dal 1996 al 2001, ha diretto corsi di formazione per docenti immessi in ruolo e ha presieduto commissioni di concorsi a cattedre.
   Ha pubblicato finora quattro raccolte di poesie (Sotto il cielo di tutti, Milano, Editrice Italia Letteraria, 1980; Miopia, Venosa, Edizioni Osanna, 1987; Radici e ali, Lecce, Manni, 2006; Variazioni lucane, Pisa, ETS, 2008), un romanzo (La scomparsa della luna, Lecce, Manni, 2010), racconti (apparsi su riviste), saggi di storiografia lucana (come Aquilina di Monteserico, Venosa, Osanna edizioni, 2008; Ipotesi sulle origini di Genzano, Venosa, Osanna edizioni, 2010; Filippo de Marinis e la repubblica napoletana del 1799, in Uomini e comunità dell’Alto Bradano, Bari, Puglia grafica sud, 1985) e saggi di critica letteraria (fra i quali, La dimensione elegiaco-epigrammatica della poesia sinisgalliana, in Atti del simposio di studi su Leonardo Sinisgalli, Matera, Liantonio, 1987; La “spiritualità” di Orazio: ideale etico ed estetico nelle “Odi”, in Conoscere Orazio, Potenza, Associazione Humanitas, 1991; I luoghi dell’infanzia nella poesia oraziana, «ESSEFFE. Sistema formativo», Bollettino dell’IRRSAE della Basilicata, giugno 1995, n. 1).
   Ha tradotto anche molti testi poetici di autori spagnoli, portoghesi, francesi e tedeschi (per ora inediti).






da  Miopia, Venosa (PZ), Edizioni Osanna, 1987, pp. 70


               FLASH-BACK
        
                        III

Scintilla che alimenta un fuoco, scavo
minuzioso negli abissi della mente
(per ritrovarsi sorgente viva
che fluisce, persona dialogante
in trame di accadimenti e di affetti), 
confessione desiderata era 
la lettera, disarmata ingenuità.

Da quando il telefono l’ha declassata 
la conversazione si perde in lacerti 
frettolosi, in filze di anacoluti.
Pochi minuti bruciano lunghe storie 
disarticolate. Chiuso il rapido  
contatto, ritorna il freddo a lasciarti 
dentro un vuoto smemorato.


                        VII

Non fu facile conquista né indolore 
sradicarsi fanciullo per muovi trapianti.
Lo studio doveva spaccare
lo steccato aprendo per sempre le vie
della conoscenza, ma l’istante
è diventato eterno, il riso amaro
e mi rattrista ora la vanità.

La vastità raggiunta è apparenza 
se nuovi limiti premono senza varchi.
Ogni risposta rimane insufficiente,
inappagata l’anima smarrita.
Altre sorgenti ricerca la sete
inesauribile, un salto oltre la vira
nei miliardi di inattingibili forme.

  
                       VIII

Perché sorrido con occhi lenti
di malinconia? Perché non grido 
mai vittoria né canto a voce spiegata?
Non è gioco d’azzardo la vita   
o rincorrersi di bimbi a nascondino,  
è casa che va costruita a regola d’arte   
pur nell’incerta furia dei venti.

La sentinella è all’erta e scruta            
lontano a prevenire l’accadimento,       
a ricucire qualche falla. Nessuna           
resa e nessuna fede incondizionata.
Ma forse tra mille spini inattesa    
spunterà una rosa che nell’anima        
profumi oltre la breve giornata.


MIOPIA

Spesso tutto è perduto 
dentro inafferrabile fumo 
pallido d’identità. Non ha carezze
l’aria né la luce i suoi colori.
La vista è piccolo fiammifero 
che qua e là s’accende a illuminare 
un solo punto nero, il più vicino.
Il tutto (e il meglio) lontano rimane          
chiuso alla nostra comprensività.
Non so più se è asfalto o prato         
quello che appare laggiù dal balcone     
mucchio di sterpi o cespo di rose
strisce di plastica o esili
capelli di salice abbandonati     
al sole. Ah la miopia! Ma se inforco
gli occhiali un calore  
è serpe sotto la pelle  
novello flusso penetra nel sangue.
Torna nel cielo l’arcobaleno.
L’orizzonte apre monti e case
variopinte con gente seminata
lungo strade e campagne
nell’abbraccio d’uno sguardo.
La distanza si accorcia. Ecco 
il fiammifero è una torcia.


 LUCANIA FERITA

E’ bastato un sisma a strapparti il cuore.
Senza veli il corpo apre
          una debole nudità
le piaghe sotto il sole allo scoperto.
I mass-media mobilitati  
ti hanno frugata e reinventata:
ora sai di esistere.

Un fremito di rabbia ti percorse
          i giorni della paura
un guizzo emerso dall’abisso
il tuo riscatto
ma il pallone presto si sgonfia  
e il sonno riavvolge uomini e cose
          come sempre nella tua storia.
Torna il buio a stendere
          ali di dimenticanza.
Torna la polvere dell’ignoranza.
L’arida coscienza s’impantana
          in nere trame di sudditanza
o nell’attesa di dei ex machina.

Porta la terra fiori e sterpi,
fringuelli e corvi il cielo.

Archiviato il caso terremoto
le macerie sono musei di archeologia 
infrastrutture decollo ricostruzione  
          parole démodées.
Non oggi ti sei ferita, Lucania.
Antico il tuo male è nato con te
          col popolo tuo coniglio-agnello.
Cemento e ferro no
solo qualche rinascita di tutta la razza
          forse lo cancella.     
                 





da  Radici e ali, Lecce, Manni, 2006, pp. 93


                          RADICI E ALI

                           Segno tangibile di appartenenza    
                           resta la cadenza apulo-lucana        
                           l’affiorare istintivo di proverbi
                           e lessemi dialettali per scolpire
                           sentenze o ravvivare emozioni
                           la visione ricorrente di campi
                           di grano colline ondulate armenti

                           ma anche la voglia di volare
                           oltre la fitta barriera dei monti
                           squarciando il velo della conoscenza
                           sperimentare la varietà delle razze
                           (delle coscienze e dei comportamenti)
                           far breccia nel determinismo del moto
                           universale aprendo spiragli.
                                                         
                       
                            NITRIRE DI PULEDRI VOLANTI

                            Nitrire di puledri volanti visti   
                            dalla tua mente (in questo mondo
                            oggi ti riconosci
                            che sfinita giaci supina
                            attorniata da volti vaganti)  
                            aggirarsi di monachicchi burloni 
                            nella camera dilatata  
                            che è ruscello ove persici guizzano    
                            d’estate tra barbi e capitoni   
                            o vasto campo di stoppie con quaglie  
                            e scriccioli a beccare chicchi di grano.  
                            Ti urta il fare sardonico o il doppio  
                            annuire di parenti e badanti
                            per ossequio all’età veneranda.
                            Ancora scacci i tacchini dall’aia  
                            setacci farina impasti pane   
                            o hai visite mute di antenati  
                            e vecchi conoscenti piazzati 
                            al centro della stanza e allora 
                            su tovaglia che sa di lavanda 
                            disponi vivande per tutti.

                            Seduto accanto al letto mi basta
                            ascoltare con rispetto filiale  
                            mentre tessi pensieri a voce chiara. 
                          



                          Spalanca la finestra e vede         

                           Spalanca la finestra e vede
                           il sereno dopo lo scombussolamento
                           nero degli elementi.
                           Scrosciare fitto e dirotto per ore
                           con turbinio di foglie sotto i platani
                           sui marciapiedi e per la scalinata
                           che mena al belvedere
                           poi la pioggia sottile armoniosa
                           a raschiare quel sudicio incrostato
                           i sedimenti umani.
                           Lavati i davanzali e il terrazzino
                           brillano purificati
                           al sole che li leviga con le sue mani
                           il viola delle petunie impregna l’aria
                           e tutto torna lindo primigenio.   
                                                               

                             Ove tutto è predisposto

                          Ove tutto è predisposto   
                          (il tavolo e le sedie al loro posto
                          il tappeto disteso il letto rifatto
                          i quadri appesi le piastrelle lucenti
                          l’acqua cambiata nel vaso dei gigli)
                          è lì che attende impaziente
                          balza in piedi va alla finestra
                          tende l’orecchio al minimo brusio
                          a un probabile calpestio.
                          (Ecco improvviso alito di vento
                          accelerazione brusca di motorino
                          sbattere sordo di qualche uscio
                          che rompe l’immobilità del giardino).
                          Pendono maturi i frutti dal nespolo
                          vi sosta una coppia di storni.
                          Arriverà dal viale il fascio di luce
                          e colori. Arriverà… Già trabocca
                          la stanza. Cadono i muri. S’aprono
                          gli occhi al vasto orizzonte.
                          


                         L’ARNO DAL PONTE DI MEZZO  
                                                     
                                 Per mezza toscana si spazia
                                   un fiumicel che nasce in Falterona
                                   e cento miglia di corso nol sazia…
                                   DANTE, Purgatorio, XIV, 16-18
                       


                          Passa lenta la fiumana
                                                              sotto il ponte 
                          grigiogialla di mota e sterpaglie   
                          di scorie confluite qua e là e liquami
                          il superfluo di questa civiltà.
                          Alle spalle per sempre il Falterona
                          imbiancato e i prati del Casentino.

                          Più affannoso gli si fa il respiro
                          vischioso di variegati intrugli
                          ma il Tirreno è a due passi
                          e l’Arno freme impaziente
                          perché già sente vicino il salmastro.

                          Sulle banchine e sulle spallette  
                                                                              stormi
                          di colombi e gabbiani prendono
                          il sole novembrino 
                          un airone cinerino plana
                                                                   ampio
                          e rapido dispare oltre i tetti
                          e la nutria regale sfila portata
                          dalla corrente sotto occhi
                          spalancati
                          di ragazzini incollati
                                                             ai parapetti.
                         
                          Ecco ormai si intravede la foce  
                          ove l’acqua si rituffa nel mare                           
                          si riscuote nuotando e si scioglie
                          tra sciacqui e tenerezze e nel fondo
                     adagiata sui sassi
                                                        purificata
                          la leggerezza ritrova
                                                        la sua voce
                          i sapori dell’antica sorgiva. 
                                                         
                      


                           Non il merlo che chioccola

                          Non il merlo familiare che chioccola
                          e staziona quaggiù fra gli sprocchi
                          della siepe e la prossima boscaglia.
                          Non il gabbiano stridulo che voli
                          intreccia su esigue lingue di mare
                          che nella discarica aperta
                          va a saziare la fame e immondo
                          torna a occupare gli scogli.
                          Ma l’aquila regina irraggiungibile  
                          che sulla vetta aspetta il chiarore 
                          e festosa grida librandosi in alto   
                          fissa imperterrita i raggi infocati  
                          e s’illumina si inebria  
                          e sfinita appagata rientra a casa  
                          sulla rupe ove altre escursioni   
                          progetta più vicine al sole. 
                                                      



                          Ora che siamo qui, apriamo quanto

                          Ora che siamo qui, apriamo quanto
                          è in noi senza limiti di mete,
                          senza remore. Per me starti accanto  
                          è garanzia di raggiunta quiete,

                          o bianca nuvola aerea, canto
                          di sirena che appaga questa sete,  
                          calice di rugiada dove schianto
                          di emozioni ci stringe in una rete.

                          Se altro saremo (soffio d’aria fiato
                          pulviscolo) come ritrovare
                          i tuoi occhi lucenti, il tuo respiro,

                          le tue mani? Il tempo che ci è dato 
                          (lungo che sia) è appena un sospiro 
                          inutile nell’infinito mare.
                                                          




dalle poesie inedite:



   Avvenimenti pensieri

Avvenimenti pensieri
immaginazioni senza tempo fluiscono
e si perdono. Li raccoglie
la memoria in sequenze ordinate
fantasmi incarnati che appaiono
e scompaiono nella nostra giornata
ed è la vita. 

A dare un senso alla volontà di esistere
spunta l’occasione che dalla nebbia
incosciente riporta alla luce
al suo disvelamento una persona
cara un gesto un evento.
Ritorna l’energia istintivamente
la certezza rinasce.




Alberi intrecciati rigogliosi

Alberi intrecciati rigogliosi
di linfa a sfidare il cielo
o due rivoli d’acqua sorgiva
distesi sul letto del fiume verso
mete da scoprire?

Mano nella mano incontro al sole
a piedi nudi leggeri quasi
farfalle assetate di luce?

Ma s’è fatto tardi ormai
sui nostri volti scende la sera.



Stabilimenti in smobilitazione ma

Stabilimenti in smobilitazione ma
qualche ombrellone aperto resiste
all’incalzare dell’autunno.
Lo sciabordio cadenzato dell’onda
nell’ultimo scorcio d’estate
sfonda i timpani e porta
una voce martellante di mare
confusa assordante
forse con insistite richieste d’aiuto
e lamenti di vita o oscure
visioni e moniti indecifrabili
per pochi bagnanti distratti
tesi a cogliere i frutti
residui del sole e dell’acqua.




Scricchiolano al calpestio

Scricchiolano al calpestio
le foglie secche della memoria
che seleziona e spazza via
inesorabile
e il vento le ghermisce e le disperde.

Ma lungo il sentiero angusto
e tortuoso quel loro fruscio
quasi aspra melodia 
permane nell’orecchio e la mente ostinata
tenta ancora di annodare i fili.
















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