martedì 2 ottobre 2012

ELOISA di M. Grazia Ferraris


M. Grazia Ferraris ha ricevuto il 29-9 il premio come finalista, - sez. Opera edita- per il libro di racconti -Lettere mai spedite, ed. Montedit.- al concorso letterario Priamar di Savona, 2012
Ecco una delle sue novelle, la prima: Eloisa. 
Premio Priamar, Savona, 29 settembre 2012-



*
Eloisa.

Caro padre Fulberto, permettetemi ve ne prego di chiamarvi così, benché il nostro vincolo di parentela sia solo quello meno intimo e coinvolgente di zio-nipote…
Davvero riconosco in voi l’atteggiamento e la cura di un padre che si è tanto preoccupato della mia educazione e della mia crescita, cosa di cui vi sono doppiamente grata, come nipote, ma soprattutto come giovane donna, per la quale i tempi in cui vivo non prevedono autonomia ed educazione intellettuale di sorta.
La mia educazione presso il convento di Notre-Dame di Argenteuil, grazie a voi, è stata invece esemplare e ha suscito lo stupore del mondo. Mi ha aperto le vie dello spirito e dell’intelligenza, del gusto letterario e cortese. A soli diciassette anni, giovane e graziosa, colta nelle lettere, nella filosofia e nella teologia, non chiedevo che di approfondire i miei studi con esercizi di logica, dialettica e di retorica…e voi avete generosamente acconsentito, dandomi il maestro migliore, quello più stimato nelle accademie parigine.
Nella mia giovane età, naturalmente predisposta all’amore, avevo tanto meditato sui testi di Andrea Cappellano e sui miti dell’antica Grecia come quello di Eros figlio di Penìa e di Poros…
Penìa: la Mancanza, l’assenza di ogni determinazione, che significa anche potenzialità aperta, e Poros, il guado, il ponte, l’espediente, vale a dire il ponte tra cielo e terra, tra materia e spirito, tra maschile e femminile….un mito di grande fascino.
Il senso di mancanza, come voi sapete, sempre presente in noi, spinge le energie potenziali ad investire in altri campi di attività, in altre relazioni…e ciò è naturale, e particolarmente sentito in età adolescenziale. È la preparazione di ogni vero incontro.
Su questo io meditavo, pur non essendone coinvolta personalmente.
Ero affascinata dalle immagini di Andrea Cappellano che nel suo trattato, De amore, ne parla come di un palazzo al centro del mondo, in cui si raccolgono le donne e in cui troneggia maestoso l’Amore: e tutto ciò che c’è di grande al mondo è da lui nobilitato.
L’Amore vero e profondo, avevo capito, è sperpero, lusso, sovrabbondanza di forze, assoluta gratuità, eppure è semplice e giocondo come una canzone.
Intendo dire che avevo e ben all’erta in me tutte le disponibilità all’incontro amoroso, e non solo a quello teorico e vagheggiato nel pensiero.
voglio che l’amor mio canti…
di mio amor vo’ che s’ammanti
e portine ghirlanda.
L’incontro con Abelardo, che aveva percorso la mia stessa strada, e già gran maestro di retorica, di grande fama e fascino, non fu altro che il naturale esprimersi delle rispettive potenzialità d’amore.
Ho cercato con insistenza di vederlo, ascoltarlo, incontrarlo…
Anche lui fu conquistato dalla mia fama, dalla mia giovinezza, e cercò il tuo appoggio, padre, per starmi vicino come maestro, lusingando la tua vanità. La nostra intesa fu subito totale.
Aveva due abilità in particolare che me lo resero subito caro: la grazia dei suoi magnifici versi e il fascino dei suoi canti dolci nelle parole e belli ed armoniosi nel ritmo musicale. Scriveva:
Quest’opere son frali
al lungo andar, ma il nostro
studio è quello
che fa per fama
gli uomini immortali.
Il piacere che ho conosciuto è stato così forte che qualunque cosa ne sia seguita poi, non ha potuto cambiare il mio modo di essere e di ricordare. Nel nostro ardore vivemmo tutte le fasi dell’amore, noi inventavamo l’amore, se in amore è possibile inventare qualcosa di nuovo…. Non mi stancavo mai di questo piacere che non avevo mai conosciuto.
Invidia ed ostilità, maldicenze cominciarono a diffondersi intorno a noi, finché anche tu ne fosti consapevole e …decidesti di separarci.
Soffrimmo indicibilmente: nessuno di noi pensava a se stesso, ma ognuno soffriva per quello che era successo all’altro: ciascuno di noi piangeva la sventura dell’altro, non la propria.
Ma questa separazione dei corpi non fece altro che avvicinare ancor più i nostri cuori e l’impossibilità stessa di soddisfare il nostro amore lo infiammava ancor più e perfino la consapevolezza dell’irrimediabilità dello scandalo ci aveva resi insensibili allo scandalo stesso: il senso di colpa, del resto, era tanto minore quanto più dolce era stato il piacere del possesso reciproco.
Quando seppi di aspettare un figlio ne fui felice, mentre tu, padre, quasi impazzito dalla vergogna, eri nella disperazione più totale.
Mosso da compassione e sentendosi colpevole, Abelardo decise di rimediare proponendo di sposarmi in segreto. Io mi opposi, tanto avevo fiducia nell’ideale puro dell’amore, disinteressato, che non ha bisogno di istituzionalizzazione. Ho desiderato solo il mio uomo, non i suoi beni o le sue ricchezze. Non ho chiesto patti nuziali. Il nome di amante e amica mi è parso sempre più dolce di quello di sposa. Ma tu insistevi tanto… che alla fine accettai.
Purtroppo questo matrimonio mi aveva riportato nella tua dipendenza, padre.
E tu volevi dare divulgazione alla nostra nuova situazione per rispetto del mondo; dovetti rifugiarmi ad Argenteuil, dove mi fu consigliato di prendere le vesti di novizia per sfuggire al mondo e a te, padre, così infuriato ed offeso che decidesti di punire Abelardo col massimo delle punizioni: la castrazione. Ah, padre, dove giunge l’ira, l’orgoglio che non conosce misericordia! Quale dolore, pur nella comprensione umana della tua ira per la fiducia tradita, nella mia disperazione!
Stremata, angosciata, desolata, disperata pensai ad Abelardo, così ferito ed irriso, solo ed isolato, decisi di espiare la mia colpa e mi legai per sempre alla vita monastica. Era l’unico modo per non rinunciare al suo amore, pur rinunciando a lui, che era tutto l’universo possibile di affetti e l’ideale.
Rimasi sola senza sapere, a lungo, nulla di lui.
Ma ora ho bisogno di una conferma del mio sacrificio, di dare un senso alla mia vita. Da Dio non mi aspetto nessuna ricompensa, perché so che per amore di lui finora non ho fatto assolutamente nulla. La mia anima da tempo non era più con me, ma con lui. E anche ora, se non è lì con lui, non è da nessuna parte…
Chi è quell’uomo o quella donna che per ostile e nemica che sia, ora non proverebbe un senso di giusta compassione nei miei confronti?
Anche a te, padre, chiedo conforto: se il maligno ha potuto servirsi del mio amore per i suoi tristi fini, non ha potuto tuttavia trascinarmi nella colpa col mio consenso.
Ho deciso di porre un freno al libero sfogo del mio dolore. D’ora in poi tacerò.
Manterrò il silenzio perché il cuore sfugge al nostro controllo e al controllo della parola e purtroppo al cuore non si comanda.
So anche oramai però che la parola è potenza creativa e che pochi uomini sarebbero innamorati se non avessero mai sentito parlare d’amore!
Non chiedo perdono di nulla, padre mio.
Questa è l’ultima mia lettera, amato padre: d’ora in poi per me sarà solo silenzio e desiderio, desiderio del mio grande amore perduto…..

Nessun commento:

Posta un commento