venerdì 2 novembre 2012

G. Sallustio su "Il sogno e la sua infinitezza" di N. D. S. Busà




Ninnj Di Stefano Busà: Il sogno e la sua infinitezza, (pref. Walter Mauro), Ed. Tracce, 2012

di Gianna Sallustio

L’ultima composizione (pag. 79) del testo è freccia che penetra sentimento e intelligenza del lettore: “La poesia.../involontaria fragilità e forza/ ha parole tremanti, dirompenti/ in grado di impregnare mente e anima, di mutare/ l’universo sensibile e le cose.”
Da tempo conosco l’autrice, sia attraverso la lettura delle sue opere, sia per averla conosciuta personalmente. A lei è ispirata una mia composizione nella quale canto l’affinità che riusciamo a (ri)creare immediatamente, anche a distanza di anni trascorsi senza scriverci o telefonarci. Sufficiente incontrarsi in un aeroporto e scatta l’abbraccio senza tempo.
Dunque entriamo nell’infinitezza del sogno percorrendo i versi della Busà come strade e sentieri, itinerari del cuore che dalla Gerusalemme dei vinti ci sublimano a cieli di catartico dolore. “...anche la vita con le sue distanze minime/ è un giro di valzer scordato.../la morte, una lingua muta/ che sbianca carne e sangue...”
Le metafore, i simbolismi che l’autrice crea, emersi dal suo immaginario lirico, sono ad un tempo allegorie di memoria d’aria, di sorrisi di radici.
Ella tratteggia il paesaggio della ns. psiche, franta tra desideri e delusioni, innestandolo a paesaggi arborei, i quali intersecandosi ci propongono con dolce, prepotente, innocente meraviglia, ipotesi di volo, raggi di sole nelle brume dell’inverno.
Non è un testo facile da capirsi, poiché la parola lirica è smaliziata, strutturata su analisi storico-razionale, laddove di storico non ci sono ordinarie stazioni di date, località e nomi, perché la Storia universale ed eterna di ogni essere umano, animale o vegetale, è in funzione e significato della lirica.
Voglio dire che ogni composizione di quest’autrice non è solo onirica mediazione, è anche coraggio, visione oggettiva della fralezza, caratteristica sapiente e saliente di sentimenti e vicende, di ispirazioni e azioni.
Le ali dell’animo, tese a candidi voli, col tempo e le intemperie perdono ardimento; la resa più esplicita è la solitudine che come fiume sfocia nel leopardiano mare: “Ognuno sa, ognuno vede il florilegio/ farsi fosforo e porpora, svagato amore/ come di passeri al loro cielo agostano...” L’orizzonte della Poesia s’innesta a quello della Religiosità e diventa preghiera, coro di suoni armonici, elegia di memorie, oracoli di futuro.
E allora?...”Ci turba il paesaggio che riecheggia/ il diluvio delle mutate sembianza” nonché nostalgie e rimpianti, come relitti inabissano la mischia dei perdenti (pag.41).
Così l’ultima sfida – vita o morte -  dei clandestini serrati in scafi di angosce e deliri che tentano incerti tragitti verso la speranza di libertà. Anch’essi uomini che nessuna legge ispirata da razzismi vari riuscirà a respingere totalmente.
Sono esodi biblici, rappresentano la nemesi del Sud di ogni nazione o continente nei confronti dei Nord, una sorta di maledizione. La ricchezza è per gli emigranti come la panna (o la m?..) che attira le mosche. Trattare queste tematiche è Storia; capacità di indignarsi attraverso gli strali dei versi è liricità eccelsa di Ninnj Di Stefano Busà.
I colori della Natura in questa poesia sono fragranti come all’aurora della Creazione: “verdi pascoli distesi al sole che allevano/ l’oro delle foglie, le sponde da cui presaghi/ ci aprimmo al nuovo giorno.” La scrittura di alto livello è epifania e presagio ottativo di un diverso modo di vivere e di convivere.
Il sogno-Poesia è ossigenante alternativa che i grandi poeti oppongono alle contraddizioni feroci del reale. Le illusioni, le gioie...”sciamano come fasci di fosforo nella penombra/ quando assaporano l’attesa che li nutre.” Il pascoliano fanciullino (l’innocenza attraverso la quale il poeta, anche a tarda età, osserva la vita sino a meravigliarsene...) nutre la poesia e ne fa resistenza al banale, inno al valore civico, etico, al coraggio: “dove le strade divergono c’è ancora/ quella speranza che non si arrende/ quel grido immenso di libertà/ che la fatica del divenire sorprende.” Nell’acuta prefazione del compianto Walter Mauro la poesia della Di Stefano Busà è riconosciuta come “densa e sottesa rinascita di proposte, drammaticamente e gioiosamente umane nel contesto del riscatto liberatorio... senza sovrastrutture... una lingua poetica semplice e naturale come sempre si addice alla poesia vera e autentica”. 

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