mercoledì 22 maggio 2013

N. DI STEFANO BUSA' SU: "OLIMPIA" di L. SORRENTINO


Note di Ninnj Di Stefano Busà
su
Olimpia di Luigia Sorrentino,
prefazione di Milo De Angelis, Interlinea Edizioni, 2013




 Ninnj Di Stefano Busà

Non è più al suo esordio l’autrice in questione, lo si evince dalla maturità delle sue varianti linguistiche, dai suoi moduli espressivi assai maturi che affondano nelle grandi domande della vita, e toccano con sguardo ampio e penetrante le inquietudini attraversate dal passato e dal presente in atmosfere che scandagliano i crinali e le vette con un’accensione lirica che presenta larghe visuali, difficili intrecci d’anima, a volte surreali, a volte marcatamente struggenti che si fanno segnali onirici per altre postazioni di dolore e disagio. Nella poetica di Luigia Sorrentino a prevalere è una cosmicità quasi panica che, quasi sempre, lascia intravedere una celebrazione del senso della vita, un tempo di promesse e di inganni, un luogo dove s’intrecciano e si scontrano le lontananze e le assenze, dove il dolore si ricompone in una sorta di pacatezza magico-surreale che si effonde in canto sublime, ne sa cogliere le stagioni, le analogie, i ritmi, le varianti, le metafore che prefiggono una testimonianza limpida di bellezza: “ con gioia pensiamo al giorno/ quando nella luce potremo/ uscire per abbandonare/ ciò che la nostra primavera/vincola/ / ecco di cosa moriamo// l’animale umano costretto/ si ritrae/ nella rupe di marmo/ della sepoltura (pag.75). 
          Un altro testo in cui lo spaccato della storia si alimenta di perenne sofferenza è: “il sole alle spalle cancella /i nostri volti/ veniamo da troppa lontananza/ lungo quella discesa / nel porticato/ altre colombe ci avvolsero/ con le loro braccia/.../ all’ampiezza/ offriamo il soffio qui  adagiato/ la bellezza che ci fu tolta/ nella luce inesorabile/ dello spegnersi” (pag. 25)
E continua Luigia Sorrentino, tenta di mitigare nei suoi versi “la carne che si avventa”, “il cuore orfano del nulla” come accenna in altro testo. Sono temi di vasta portata che mettono in evidenza implicazioni esistenziali, attraverso i non facili attraversamenti e le non sempre agevoli capacità in itinere, che costituiscono la sua dialettica in un percorso ricco di metafore. Vi è un impressionismo che travalica la simbologia raffigurativa del quotidiano e si  realizza essenziale, efficace e icastico.
         La morte e la vita sono esorcizzate da angolazioni diverse, da qui il trasalimento, la resa evocativa della memoria, che sanno realizzare un modulo perfettamente fruibile e felicemente raggiunto. Versi quelli di Luigia Sorrentino che rivelano una sensibilità molto raffinata, entro un rigore e una tenuta linguistica tendenti a concentrare un risultato sorprendente, attraverso l’efficacia descrittiva, prosciugante dell’immagine, ma persuasiva nella resa linguistica e umana.  Da qui il simultaneo derimere di due fondamentali “motivi” quello di una trasparente e serrata progettazione di forme che offrono la coscienza gnoseologica e quello di un motivo, mai transeunte, che interferisce nella storia di ognuno in perfetta fusione tra natura e avventura che è dimensione metafisica, garbata e vigile indagine di se stessi e del mondo che ci circonda: “Lo sguardo nostro entrò in quel suo essere/ infinitamente mortale” espressione centrale, apocalittica che spinge all’ignoto, lo immobilizza e lo trasfigura.
Vi è infine quella sorta di “forte” impressione che ebbi al primo incontro con la sua poesia, da cui credo prendano le mosse le sue emozioni, le suggestioni.
Le sue liriche stanno in un’atmosfera irreale che pure sa caricare la creatura che è in lei e renderla inconfondibile sul lato dello stile e del movente della sua scrittura, qualcosa di rilevante nelle sue pratiche culturali che la distinguono nettamente dal coro di tanta poesia “indifferente”.


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