sabato 7 settembre 2013

N. PARDINI: "A COLLOQUIO CON IL PADRE. IL SOGNO"

A colloquio con il padre. Il sogno


Baluginò il suo volto. Che lucore!
Era simile il cielo a quei mattini
in cui andavamo ad erpicare
il profumo di terra. Era mio padre.              
Mi prese per la mano trepidante
e mi portò
a mirare i suoi spazi. Io non sapevo,  
nella nuova coscienza, ch’era morto.  
Mi apparve certamente perché stessi
sereno. Stava insieme  - in un salone
immenso e somigliante vagamente
a quelli riportati negli affreschi
dei rinascenti artisti pontifici -        
con persone serafiche. Una peluria
gli fluitava cadente ed abbondante              
sugli omeri. Brillavano i suoi occhi
di un’altra dimensione. Stranamente
il soffitto sforava aperto un cielo
di luce biancicante: “Vorrei tanto
rivedere con gli occhi di un terreno
i nostri monti simili a puledri
rincorrersi tra i lecci ed i castagni
rutilanti ai tramonti. Vorrei tanto
trascorrere con te un tempo, pur breve,
per le cose del giorno e anche di più
vegliare una nottata tra i sentori
d’erbale umore estivo. Per esempio             
nel campo dei covoni”. “Che ti prende?
Perché non puoi? Domattina farò 
ch’io possa liberarmi dagli impegni
e andremo insieme,
tutto un giorno sul Serchio e poi sul piano
dei fulvi girasoli. Anch’io lo sento
questo bisogno in anima di vivere
di nuovo sprazzi e guazzi giovanili”.
“Guarda, figliolo, ch’io ti sono in sogno.
Quello che vivi è fumo ed io son qui
vicino solamente con lo spirito,
non col corpo. Son morto. Ti ricordi
quella brutta giornata di dicembre?
Io spiravo e tenevo la tua mano
nella mia tremolante. Dentro il cavo
ho sempre il tuo calore”. “Come faccio
a sapere che è tale?”  “Puoi provare!”         
“L’unico mezzo è quello di destarmi
per saperlo. Perché dovrei distruggere
l’occasione di un sogno veritiero.
Di un sogno che è realtà più di un reale
che non arriva a tanto. Che momento!
O sogno o realtà che importa, padre,
io ti rivedo, bello, fra quei marmi                 
così lucidi, vasti senza dubbio
ben di più degli scrimoli a cui noi
eravamo abituati. Con gli amici
a dissertare sui concetti astrusi
dei misteri del cielo e della terra.
Così importante mai ti vidi padre.
Che piacere”. “Figliolo tu hai ragione.
E’ rara l’occasione che in un sogno
si sappia di sognare e che per questo
si viva ben più a fondo un segmento
coscienti di un prosieguo del reale.
Sogniamo! E tutto sarà vero: tu
mi parli ed io ti corrispondo. Manca                   
una magia estrema. è in mio potere
Ricostruirò quel tempo del passato,             
e forse il più felice,
di quando dodicenne tu passavi
(tornando di città schivo e scorbutico)
all’ora di mangiare dalla vigna”.
“Rivedo tutto! Che magia! Sono
laggiù sotto il mio pioppo a rovistare
nella borsa del pranzo. Ecco ti chiamo.
Tu accorri trepidante poi mi abbracci.
Tre cose sulla scuola. E la tovaglia
sui crini di gramigna. Che bel pane!
Tu stacchi i pomodori e li zuppiamo
in picchiata nel sale”. “Vedi bene
come si mischia a volte col reale
l’immaginario”. “Si! Però per me
questo momento dice che tu esisti.
In quanto alla tua morte non ricordo;
perché dovrei svegliarmi?
Continuiamo a vivere così.
Nella magia di un sogno. Per domani,
quando torno da scuola, nella borsa
voglio trovare - diglielo a mia madre -
il pane fritto. Sai quanto mi piace!”.




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