martedì 10 settembre 2013

SERENA SINISCALCO: INEDITI

E parlava del tempo e della pioggia


E lo incontravo due o tre volte al mese
quando qui attorno uscivo per le spese:
era di mezza età ed un bastone
aiutava il suo stento claudicare.
Solo un amabile saluto ovvero
due parole sul tempo e sulla pioggia.
E sorrideva.
                   E presto lo rividi
ma il suo bastone or era una stampella
che il mese successivo raddoppiò
in un secondo appoggio.
                                        E sorrideva.
E si parlava del tempo e della pioggia.
Lo rincontrai passato qualche mese
su di una carrozzella.
                                 
Mai si parlò di lui, delle sue pene,
ma soltanto del tempo e della pioggia.
Poi non lo vidi più e domandai di lui.
Nessun sapeva.
                          Vana la domanda,
ché la risposta già me l’ero data:
muta la voce del tempo e della pioggia.


Milano. luglio 2013





Finestre accese


Da quattro fili tesi ha ritirato
Liliana i panni stesi ormai asciutti.
Ceci, l’altra vicina appresso,
i gerani ha irrorato sul balcone.
                             
Io ceno presto.
E la tovaglia ho scosso per i merli
e pei fringuelli del querulo mattino.
                                                                                                                         
Ed è già sera.
Dalla finestra sul retro della casa,
oltre il giardino dal sontuoso cedro,
vedo il palazzo che mi sta di fronte,
dalla facciata con cento finestre,
in parte accese a rischiarar ritorni
dall’opra usata, la famiglia unita,
e fumante la cena sopra al desco.
E poi parole, i soldi per la spesa,
con l’ansie ed i timori, i pianti, i drammi
che pure sempre questa vita impone.

Poi s’annera la sera e si fa notte:
a poco a poco rabbuian le finestre,
la quiete cala nel giardino, mentre
i lampioni accesi levano spettri
d’alberi e cespugli.
                              S’alluna il nero.
Le luci spengo delle mie finestre:
con l’ombre par s’aggravino i pensieri.

Su quattro note l’usignolo amico,
fido compagno della nera insonnia,
sul ramo di magnolia
mi rinnovella il canto suo notturno                                                                                                         
che in parte m’asserena e mi consola.

Milano, settembre 2013





La vita un valzer


Fu fiaba “il ballo delle debuttanti”
al sontuoso hotel Principe e Savoia,
e diciott’anni e un candido vestito  
di raso alla caviglia, opacizzato
da un fin decoro di meduse bianche
e una rosa pur bianca sui capelli.

Cadetti d’Accademia Militare
di Modena, belli nelle uniformi blu
a bottoni d’oro, viola il colletto
e i rigidi kepì con le visiere,
furon degni perfetti cavalieri.

Sonava i valzer la musica di Strauss   
a ritmo di “un due tre”. E si danzava,
felici in aura magica fastosa,
dove la gioventù  sprizzava brividi
d’amori e sogni, favole di vita.

Mi fu “imago” di fiaba inver la vita,
ancora ignara degli amari assenzi;
danzai e danzai per una notte intera;
tornai a casa con la luna bianca.

Ed in gioioso sfinimento chiesi:
“O luna bianca, dimmi: può la vita
essere sempre un valzer festaiolo,  
o è infinita sequenza e croce mesta
di varchi ognor dolenti?
                            O luna bianca,         
si può danzare in turbinar di passi,
in gioie d’amor pregna e in esultanza?”
Tacque ambigua la luna che sapeva.

Milano, maggio 2013
(Memoria dei miei diciotto anni)





Compagni della notte  



Chi c’è al di là della finestra accesa
in quella stanza in fronte, oltre la strada,
nell’atro della notte, taciturna?

Forse un degente od un insonne
o qualcheduno che s’adopra assiduo
all’opra sua, in ore notturne prime,
intime. fresche, romite ed armoniose
del canto rossignol sulla magnolia?

Io non so chi tu sia, pure compagna
resta quella finestra accesa, sola
come la luna quando in cielo appare
che il cuore accende, illumina e consola.

Tu  finestra- luna che cosa celi
dentro al silenzio arcano, quando s’ode
il latrar lontano d’un cane innamorato
o il profondo ruggir di rauco tuono
che ha smorzato nel ciel l’ultima stella?

O mio dirimpettaio inconosciuto,
dimmi chi sei e dammi i tuoi pensieri.
Delle passioni tue, speranze e pene
partecipe ne sia e in consonanza.
Di me io ti dirò, dalla mia stanza
nel grembo dell’insonnia
che ci fa sodali, noi due migranti
tra i muri muti in ombre della notte.

Milano, maggio 2013






Il muro ha partorito


D’intonaco non traccia: nel giardino
di marzo il muro tutto s’è abbigliato
d’un intrico fresco d’infiorescenze
gelsomine e soavemente aulenti
e tenerelle fronde e dentro ha accolto
nidi celati di merli e di fringuelli.

Ma oggi, esaurite fioriture e aulenze,                                                          
altri fiori di piuma sono nati!
E sento il pigolar aspro del muro
che pur sussulta, esulta: un tramestio,
un diavolio di foglie vigilato
da uno svolar d’uccelli genitori,                             
un recar cibo pei novelli nati,
dalle gole più grandi della testa.

Il muro é in festa, vivo d’allegranza.
Mentre sorrido una vaghezza preme:
sopra il garrito manto della sponda,  
a celebrar sia posto un fiocco bianco!

Milano, maggio 2013

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