mercoledì 23 ottobre 2013

NOTE DI F. CAMPEGIANI, M. RIZZI, S. ANGELUCCI SU: "IL NOVECENTO E LA PAROLA" DI N. D. S. BUSA'

Trovo di enorme interesse l’analisi svolta da Ninnj Di Stefano Busà. La nostra è solo in apparenza una civiltà della comunicazione. In realtà siamo sprofondati in una totale incapacità di rapportarci e di stare in relazione, cancellando lo stato di comunione che per secoli e millenni era stato alla base della vita degli esseri e delle civiltà. Abbiamo cancellato e assassinato il popolo in nome di una società di massa, senz’anima, che ci costringe a vivere addossati gli uni agli altri, senza conoscerci, come pezzi di una catena di montaggio, totalmente robotizzati. La nostra è una società profondamente irrelata, non più correlata, nonostante voglia spacciarsi come “relativistica”, nascondendo ipocritamente la sua vera natura assolutistica, globalizzata, fondata sull’univocità. Sono pienamente concorde con la Busà, laddove sostiene con forza l’esigenza di “iniziare un percorso a ritroso che ci permetta di ritrovare noi stessi”. Aggiungo che, paradossalmente, sta proprio nella capacità di dialogare con se stessi la capacità di dialogare con gli altri, in quanto l’”altro” deve intendersi prima di tutto come l’”altro di sé”. Il primo anello della catena relazionale consiste nella relazione che l’uomo riesce a stabilire con se stesso. In assenza di ciò, va in pezzi l’intera catena, perché tutto sprofonda inesorabilmente nell’inautenticità.

Franco Campegiani  




Ho letto con infinito interesse l'analisi della Professoressa Ninnj Di Stefano Busà e i successivi commenti. Franco Campegiani parla del ritorno al rapporto tra l'io e la propria coscienza, all'all'altro sé, ovvero alla capacità di pensiero autonomo, svolto in solitudine. 
Viviamo tempi 'liquidi', non si può negare, tempi all'insegna del 'qui e ora', che impediscono ai ritmi di rallentare e consentono alla tecnologia di prendere il sopravvento. In fondo rallentare può essere scomodo e allora... ben vengano le emozioni, i sentimenti, i rapporti interpersonali consumati allo stesso modo dei beni economici. E' il modo per esorcizzare la paura di trovarci a fare i conti. Con il passato, con gli ideali che abbiamo promesso di seminare, con i figli e, soprattutto, con noi stessi. Temo che le colpe della società massificante vadano sempre ricondotte al singolo. L'uomo quando e 'se' vuole, può essere più potente del consumismo, può servirsi dei mezzi virtuali e non lasciarsi usare da essi, può ritagliarsi gli spazi indispensabili per stare con coloro che ama e per ritrovare il dialogo interiore.
Non esiste forza che possa piegare la volontà dell'uomo. E' stato dimostrato dal passato, dalle violenze fisiche e psicologiche, dalla determinazione a negare il pensiero. Se oggi imperversa la società di massa la colpa è di ognuno di noi. Si può rallentare. Si può vivere secondo principi diversi da quelli dilaganti... Si può scegliere di non essere branco!
E' una questione di convenienza. Le convenienze di troppi annullano l'Umanesimo. Io voglio continuare a credere che la coscienza dell'individuo sia l'elemento di svolta. "Nati non fummo per viver come bruti...". E sempre valido, no? Grazie infinite per avermi indotto a riflettere.


Maria Rizzi





Non si può non essere d'accordo con l'attenta disamina di Ninnj Di Stefano Busà sul Novecento: negare l'evidenza è da sciocchi superficialisti. 
Nessun catastrofismo per carità (sento già le voci degli ottimisti ad oltranza sollevarsi in segno di rimbrotto) ma vorrei dire a costoro che la speranza nel bene va conquistata e, per farlo, bisogna accorgersi delle lacrime (soprattutto di quelle di chi piange di più). Non è mia intenzione fare del moralismo a buon mercato: dico soltanto che è vero, ciò che ci divora è l'inquietudine. Caratteristica, questa, connaturata - a parer mio - con la nostra stessa natura, ma positiva fin quando spinge l'uomo a migliorarsi o - se si vuole - a seguire il proprio percorso spirituale; negativa quando la stessa deriva da cause autoprodotte: diciamo così (consentitemelo) artificiali.
Già, perché non mi si venga a raccontare che l'essere umano ha bisogno di quell'adrenalina procurata dalla schizofrenia, da un lato, e dal solipsismo, dall'altro. Sono facce, queste, della medesima medaglia: quella che ci siamo meritati alle Olimpiadi del Vuoto e dell'Irragionevolezza.
"Non è mai troppo tardi", sostiene però la Busà, per iniziare "un percorso a ritroso" che - attenzione - è un procedere in avanti, alla ricerca, appunto, dell'Umanesimo, che non credo ci abbia mai abbandonati (semmai è accaduto il contrario). Questo percorso deve portarci alle nostre sorgenti: ci porterà sicuramente lì, e scopriremo che sono quelle di sempre, anche se - come avviene nei processi creativi - parleremo di un Nuovo Umanesimo, perché nuovo sarà, come ogni mattino lo è rispetto al precedente.
E la parola dovrà svolgere un ruolo determinante: sarà la prima a spazzare via i dubbi, senza illudersi però che non ce ne saranno altri: a quel punto risolvibili se, nel frattempo, avremo recuperato noi stessi.
E' l'auspicio che tutti - poeti compresi - ci facciamo. Che questa Terra sia davvero un giardino per le generazioni a venire...

Sandro Angelucci

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