sabato 18 gennaio 2014

N. PARDINI: LETTURA DI "IL SOLDATO GIOVANNI" DI G. RESCIGNO

NAZARIO PARDINI 
SU
LA PROSA POETICA IN
“IL SOLDATO GIOVANNI”
DI GIANNI RESCIGNO



Mi sono occupato con più recensioni della scrittura di Gianni Rescigno. Della sua poesia calda, generosa, emotivamente coinvolgente, e metaforicamente allusiva da coprire con la sua plurivocità tutti gli spazi delle questioni umane, degli interrogativi esistenziali. E qui, dopo la lettura di queste pagine di narrativa, sinceramente ho ritrovato il poeta: la sua capacità esplorativa, il suo tratto deciso e sicuro in un romanzo in cui gli avvenimenti coprono uno spazio storico di ampio respiro: guerra di Libia (2011), la prima e la seconda guerra mondiale. Ci narrano di un uomo del popolo vissuto fra due secoli: il soldato Giovanni. L’interprete  principale di un film che ci pone di fronte a scene storicamente efficaci, realistiche, anche se di quelle sotterranee di cui la storia poco ci parla: amore, amicizia, sventura, odio, vendetta, dolore, vita, vita, vita… E tutto verte a delineare la psiche di questo soldato; una grande operazione di scavo, di analisi più che di descrizione psicologica; tanti tasselli a costruire una piramide la cui struttura precipiterebbe se si togliesse uno, uno solo di quei tasselli. Gli ambienti, i panorami, gli sguardi ora pietosi, ora disincantati, ora oggettivi, sulle vicende si inanellano fra loro in un susseguirsi compatto e realisticamente attraente. Una narrazione che fa della storia un mezzo per nutrire la vita, i suoi intrighi, il tanto patibolato nostro segmento terreno. E il tutto ha una funzione precisa: ritrattare il carattere del soldato Giovanni. E’ lui che deve venir fuori, il suo mondo, la sua moralità, la sua indole sana e semplice di popolano che vive, che ama, che odia, come tanti, capitato in uno dei momenti storici più tragici. Tutto ruota attorno a lui: passato, presente, e futuro: Giuseppa, la sua sagacia popolare, la sua imponenza fisica (mammella), la sua spontaneità: “La terza moglie di mio nonno si chiamava Giuseppa. Una matrona, vedova del custode del camposanto, con mammelle sovrabbondanti, dai muscoli virili . . . Dedita al vino fin dalla giovane età passava le giornate dividendosi tra casa, campagna e cimitero . . .”,  la realtà descritta con occhio attento al particolare;  gli altri personaggi di supporto, pur sempre  altrettanto singolari; gli ambienti.
         Ma dove è che ritroviamo il poeta. Dove è che il poeta si trasferisce con tutta la sua creatività in queste pagine di narrativa. La ricerca non è certamente difficoltosa; ed eccolo il poeta: è qui nella sua terra, è nel respiro della soglia di casa, in questo confluire dell’uomo e del suo mondo nello stesso rigagnolo che porta al grande mare dell’opera; è nella sofferenza del vivere, in quella visione che il poeta ha della vita, della sua fragilità, commisurata al tempo, al suo scorrere. Motivi centrali nella poetica del Nostro, che riesce a vedere le cose dall’alto con nel cuore la speranza di un mondo migliore. E Giovanni è senz’altro un personaggio positivo in tutta  la sua ruvidezza, un  personaggio come uno di noi di fronte ad episodi ora straordinari ora di normale andatura familiare. E nonostante tutte le difficoltà lo viviamo come un essere che ama vivere. Che ama tutto ciò che di buono ci offre il nostro esser-ci. Ed i caratteri, gli ambienti, i motivi che ispirano la poesia di Rescigno sono semplici; e anche se traslati, non di rado, dalla sua forza emotiva, pur sempre ambienti che traspirano l’aria della sua terra; sta qui in gran parte la grandezza del suo poema: nel saper spicciolare la sua cultura, il suo patrimonio memoriale: emblematico il personaggio di Giuseppa dedita al vino. E lo si vede nel momento della sua morte. Niente di tragico, di spacca cuori, tutto si svolge con naturalezza, perché trasuda dalle pagine di Rescigno poeta l’idea che l’inizio e la fine, la fine e l’inizio, sono due misure facenti parte della vita: inquietudini umane, troppo umane come la morte e la nascita. E l’autore, pur invischiato nelle vicende, ne sa uscire con spirito contemplativo, dacché è convinto che niente finisca nel nulla e che la morte stessa sia l’origine di una storia più pura e luminosa. Ed è proprio per questo, forse, che la sua narrazione non assume mai un carattere estremamente pessimistico, anche se gli avvenimenti spesso ne darebbero motivo. D’altronde si dice al mio paese che dall’oro non nasce niente ma dallo sterco può nascere un fiore. Ed i fatti lo dimostrano. Fatti su cui non si dilunga troppo. Spesso sono pennellate sintetiche, essenziali. Descritte con un’efficacia verbale da cesellatore di parole. Descrivere e rappresentare con l’animo del poeta, quindi, che arriva a sforzare la grammatica per ampliare gli spazi verbali con allusioni incisive ed espanse. E necessitava proprio una figura come quella di Nicola all’economia del romanzo, l’antieroe, l’amico del cuore, il ferracavalli, il nemico di tutte le ingiustizie, l’altro volto della medaglia che contribuisce a mettere in risalto l’apparente ruvidità di Giovanni, una ruvidità che nasconde, in effetti, un animo umano, soggetto ad impulsi emotivi, a cambi umorali, ma pur sempre capace di slanci di generosità. E’ dalle loro discussioni che fuoriescono due figure distinte, ma complementari, soprattutto quando alla sua morte  Nicola si fa emblema di quella sagacia popolare alimentata da un pizzico di visione melanconica e negativa sulla natura degli uomini: “Tutti gli uomini tirano l’acqua al proprio mulino”. E Nicola, dopo la morte,  diverrà l’anima gemella di Giovanni. Il suo buon consigliere. Sarà il suo spirito a dettargli i sani comportamenti estranei alle passioni più irrazionali: come quello di non uccidere, di non cadere nel degrado della vendetta. Ci sono momenti di alta poesia, di immensa vicissitudine umana, che un poeta come Rescigno può cogliere e trasferire in qualsiasi genere di scrittura. E, in particolare, in quella che tratta di una storia con tutte le sue vicende belle e meno belle. Con figure altamente simboliche ed emozionanti: Sisina (l’amore), la morte del figlio (la tragedia), la nascita di Gianni (il ritorno alla vita), Lella (la puerpera, la donna che dà vitalità), in più la perfidia della selezione naturale: c’è chi muore per denutrizione, e c’è chi sopravvive perché più forte. Insomma tutto il sale e il pepe del vivere in un ambiente estremamente popolare, fertile di ruvidezza e generosità che sfugge all’occhio dello storico. Ciò che è umano, familiare, ciò che è vero. In un ambiente dove l’uomo mostra più direttamente le facce ambivalenti della sua permanenza terrena. Il periodo della II Guerra mondiale appare ancora più realistico, più succinto e incisivo nella narrazione e nelle descrizioni. Un vero realismo di memoria macchiaiola, fatto di tocchi essenziali, ma emblematici che allargano il semplice accident a significati più ampi. E’ il quotidiano con tutti i suoi minimi accadimenti che colpisce l’occhio di Rescigno. Una verità portata agli estremi della sua naturalezza, come quella di pisciarsi addosso dalla paura da parte di don Pacifico. Povertà e miseria. Ma tanta umanità, quella schietta, in tutte le sue forme, anche animalesche, ma anche infinitamente poetiche in slanci di amore e di amicizia, di confronti e sfronti, epici, direi, e che non falsificano il succo della vera esistenza.              
         Ed è qui la virtù di questo grande scrittore: saper far suo ogni episodio, e per tale intendo anche ogni apporto del memoriale; ognuno di noi vive o ri-vive frammenti che rievocano una storia contornata da un certo sentimento; ma Rescigno va oltre, ricorrendo ad un mélange di commozioni e riflessioni intellettive, che lo conducono ad una sua filosofia, ad un suo pensiero preciso e perentorio sul fatto di esistere in questo spazio ristretto di un soggiorno. Quindi ogni racconto popolare ed ogni tradizione familiare decantano nelle segrete del suo animo, segrete come quelle dove anche il buon vino, invecchiando, assume colore, tono e bouquet saporosi di una cultura che invita alla poesia. E il tutto, arrotondato dal pensiero e dagli spazi sottostanti del pensiero stesso, si rovescia sul foglio nei momenti di un caldo equilibrato riposo. Insomma, dal fluire del romanzo emerge “l’invadenza” di questo autore, la sua massiccia presenza disseminata nelle pagine di Giovanni (soprattutto), di Giuseppa, Nicola, Bettina, Sisina, Gioacchino, Lella, don Pacifico… Disseminata in tutte quelle rielaborazioni ambientali che costituiscono il valore aggiunto dell’arte di Rescigno: “Improvvisamente, quando incominciò a respirare la sua aria, quando gli apparvero le familiari cime dei monti, avvertì il desiderio immenso dell’affetto dei parenti…”; “Appena l’alba gli s’annunciò dagli scudi socchiusi fu pronto…”; “Dove finiva la strada Giovanni vide una specie di capanna. Bassa. Coi muri di pietre a secco. Il tetto in lamiera. La porta era chiusa. Trattenuta da un chiodo vi penzolava un ferro arrugginito di cavallo. Cigolava ai colpi del vento. E al vento sembrava lasciare un lamento…”. Chi vi dice che queste “poesie” non siano verniciate dei colori della sua terra. “Poesie” affidate ad una scrittura asciutta, segmentata, essenziale, incalzante, dialogica, che poggia su periodi brevi, di stile giornalistico, direi, dai risultati estremamente attuali e redditizi. Dove sequenze narrative, descrittive, ed analitiche si alternano, in maniera compatta, inanellate da una vis morfosintattica di perspicace sapidità disvelatrice. E dove la figura di questo soldato spicca, alla fine, con tale energia da lasciarci commossi; commossi da riprendere le pagine per rileggere i momenti salienti della sua storia. Sì, perché, il soldato Giovanni, alla fin fine, non è altro che il padre di tutti noi italiani: mio padre, vostro padre, un padre come tanti che ha avuto la malaugurata sorte di vivere il tremendo periodo delle guerre; che ha sofferto, ma che è riuscito ad andare avanti con dignità. Che ha insegnato a tutti noi il valore dell’onestà, della disciplina, e del rispetto della vita. Basterebbe che noi tutti acquisissimo una minima parte dei suoi insegnamenti. Ma perlomeno ricordiamoci di questi padri, dei nostri padri che hanno lottato nelle trincee, che hanno vissuto lontano dalle famiglie, che hanno pianto su delle foto logore e consumate dalla pioggia, e che sono stati ripagati con la miseria e le macerie.
         In una recensione ad una sua opera di poesia dal titolo Sulla bocca del vento ebbi a concludere: “… Sì!, questo è Rescigno, questo è il suo mondo e questa è la sua poesia. Una versificazione che abbraccia ogni ambito dell’animo umano. E anche se il suo discorso appare spesso terreno, troppo terreno e anche se si aggrappa con slanci spirituali all’oltre, pur tuttavia, è il profondo senso della sacralità della vita a fare della sua arte un poema edificante. Tanto è vero che sente questo bisogno continuo di ripescare il passato, di riattualizzarlo, quasi per annullarsi, e riprendere fiato dopo una corsa senza respiro; sì!, per annullarsi in stormi di primavere…”.  Penso che anche il soldato Giovanni, da là, sia contento di leggere questa mia conclusione. Ed è così che mi piace concludere.
                                                                                                
                                                                     Nazario Pardini
24/11/2013

Gianni Rescigno: IL SOLDATO GIOVANNI
Genesi Editrice - Torino. 2011. Pp.112. € 14,50  












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