sabato 1 febbraio 2014

NAZARIO PARDINI: LETTURA DI "POESIE", DI SANDRA CARRESI

Nazario Pardini
su
Poesie di Sandra Carresi (inedito)


Parlavo di te
proprio ieri
all’Estate
non ancora caldissima.

Pensavo
a quei bagni salati,
ai pesci colorati,
ai cornetti gelati,
alla spiaggia infuocata
all’abbronzatura
di cioccolata.

Che bella
L’Estate di sole,
di mare,
di niente da fare.

Solo ricordare…,
ed ha già,
il sapore
del sale (Parlavo di Te).

Una silloge, questa nuova di Sandra Carresi, vivace, intensa, di proteiforme valenza, dove ogni emozione trova corpo in versi duttili e generosi, ora brevi, secchi, ora ampi, aperti; disposti e disponibili a seguire l’ondulazione delle intime vicende. Insomma una silloge che racconta la vita, in tutte le sue forme, le più dolci e le più crude: sottrazioni, scottature, illusioni, speranze, delusioni, rammarichi, quietudini; realtà quotidiane, minuziose, occasionali; slanci onirici; un realismo lirico, comunque, di grande impatto umano, dove è facile ritrovarci, dove ognuno di noi, leggendosi, ascolta un brandello della sua storia. E mi piace iniziare la mia esegesi da questi versi incipitarî che fanno da prodromico avvio ad una voce spontanea, libera, pulita, e architettonicamente movimentata; una voce che sa raggiungere apici di non comune fattura ispirativa.   
         Sta proprio qui il momento essenziale del poema: in quella confessione originale e carica di pathos ad un’estate che si fa altro ego di un memoriale rintuzzato da ritorni di reale concretezza: “Pensavo/ a quei bagni salati,/ ai pesci colorati,/ ai cornetti gelati,/ alla spiaggia infuocata/ all’abbronzatura/ di cioccolata”.
 Un memoriale che nella poetica della Nostra ha sempre contribuito al poieo con generosa espansione lirica. È facile per la Carresi abbandonarsi a un tempo di felici fughe emotive; assume quasi valore di alcòva rigenerante, dove ritrovarsi, anche, sottraendosi a routines in cui l’omologazione e gli stessi disvalori di un mondo socialmente iniquo e indifferente alle sofferenze, la portano ad uno sperdimento etico, o a vere invettive coscienziali:

Quando ci scandalizzeremo?

Quando indignati
urleremo il
nostro NO
ai signori
della morte
e del dio quattrino?

Quando ci riprenderemo
la nostra Terra
per pascolare
coltivare
dormire
fare l’amore

Tutto in maniera sana?

Quando?

La nostra Vita,
quella dei nostri figli
e di tanti innocenti
saranno al sicuro?

Quando le pecore
non partoriranno
agnelli deformi?

Quando?


Non ci sarà
esistenza
se la Terra
tentennerà
e
neppure l’anima
sopravvivrà
in assenza di onestà (Quando?).

Parole di robusta energia esplicativa, sorrette da un credo di cospicuo impatto emozionale, da risentimento e da un motivato afflato di dolore. E il dolore c’è in questa storia, è preminente nello scorrere dei versi. E dalle plurime occasioni ispirative, di perspicua frequentazione intimistica, e di profondo scavo psicologico, fuoriesce una filosofia piuttosto negativa sul fatto di esistere. Una filosofia che scaturisce da una sommativa di tappe da via crucis, di inquietudini su un percorso di catartico affrancamento. Inquietudini e risentimenti nati da rispetti mancati, da fiducie tradite, da sogni sfumati; ma forse è proprio attraverso tali strade che l’anima acquisisce una potenza umana tale da farsi nerbo di un poema; lava vulcanica ex abundantia cordis:

Lascerò leccare
le tue ferite
ai mie cani,

se le avrai.

Io, non lo posso
fare… (La follia omicida dell’oggi).


Quanto dolore
ha causato la tua partenza!

Certo,
tu hai solo dovuto
ubbidire.

E noi?

Qui nel disagio
ad affrontare
mille responsabilità.

E Lei?

Ancora giovane
e tanti problemi
caratteriali
oltre
ai cento giganti... (Disagio).

         Ma è soprattutto il ricordo l’artefice primo di una vis esistenziale foriera di venature melanconiche; di un sapor vitae condizionato da spazi umanamente disumani per una coscienza dell’ hic et del nunc; di un’ora che implacabile corre lasciando solo scorie che tornano a galla pacate, silenziose, in punta di piedi, ma anche irruenti e salate come l’acqua di un mare sapido di ardore allusivo a dirci l’amaro dell’esistere, la precarietà dell’esser-ci, e le ingiustizie degli umani. Ma se il tempo maturerà le sue spine, se il tempo, l’invincibile tempo, mostrerà tutto il suo potere, non sarà certo sufficiente a spegnere quel fuoco ardente, profumato di bosco e di salsedine, che alimenta l’anima della Nostra. Interverranno antichi profumi, abbrivi di fantasia, volitivi azzardi verso antiche primavere a intrecciare petali di rose fermandoli con aghi di spine:

Se il Tempo
mostrerà le sue spine,

chiederò al vento
di piegare
le rose.

Raccoglierò i petali,

li intreccerò
fra di loro
fermandoli con le spine.

La collana
che indosserò
non mi
pungerà
e
l’antico profumo,
esalterà la mia fantasia
fino a renderla,
magia (Rose e spine).

Sì, il sogno, gli onirici spazi più reali del reale, l’apertura di braccia ad avvincere il tutto, l’oggi l’ieri e il domani, le tante connessioni che possono inficiare le divergenze, o le divergenze stesse a recare dolori, le aporie, l’ardire di sottrarre la bellezza agli annichilenti artigli del tempo, tutto contribuisce a dare vigore alla plurivocità della poesia della Nostra; una poesia dove non possiamo non leggere l’articolato e complesso motivo della tematica erotica. Un sentimento, questo, spiritualmente elevato che fa dell’amore una trascendenza, della terrenità un trampolino di lancio oltre il temporale:

.… Lasci la tua
solita riservatezza
e mi dici
di venire da te.

Socchiudo la porta,
ti guardo
e
prima che le tue labbra
si schiudono,
i tuoi occhi
hanno già parlato,
stelle nere che
illuminano stanze grigie
e raccontano
del nuovo battito
che cresce in te (Complicità).

Si parte dalle piccole cose, dai minimi gesti, dalle effusioni più naturali, per azzardare slanci emotivi tanto intensi da toccare l’azzurro, l’irrazionale, la passione antecedente al pensiero. E questa è la vita, in tutta la sua complessità, in ogni sua sottrazione e in ogni suo dono. Perché grande è il dono che ci ha offerto. È senz’altro sufficiente a convalidarlo la sua venuta. E non vi è distinzione fra il suo proporsi e la poesia. La  vita è l’arte dell’incontro, afferma un poeta brasiliano, Vinicius De Morales; e in Sandra la vita e la poesia sono la stessa cosa. In più lei impreziosisce il suo canto con figurazioni e cromie che mai sono oziose, ma sempre funzionali a un dire abile nel dribblare il vacuo sentimentalismo. Lo fa con argini verbali significanti ad esperire controllatissima effusività che Contini definisce “pulizia dell’anima”. Una effusività che sa tradursi anche in scene di polisemica significanza, di trasalimento panico, di cospirazioni naturistiche a concretizzare intenti di speranze per rinnovamenti spirituali tesi ad unire antichi appuntamenti col respiro del Mondo:

L’abbraccio serale
del Sole
infuoca il cielo
tingendolo di arancio.

Promessa solenne
di un giorno nuovo.

Appuntamento antico
di un incontro
che si rinnova
col respiro del Mondo (Tramonto).

Commentando la sua poesia ebbi già a dire: “La poesia di Sandra Carresi è piena di vita, di  amore e di dolore. È umana in tutte le sue vicissitudini. Si leggono fatti e avvenimenti che ci rattristano. Ci sconvolgono, ci turbano. Si esiste e ci poniamo i perché del nostro esistere. Tanti  perché che lasciano dubbi, incertezze. E quindi bramiamo parole, cerchiamo con impennate creative, con vertigini paniche, con lo scandalo delle contraddizioni, quei verbi che soddisfino il sentire. E questa è la sua poesia. Cosciente di esistere in un tempo implacabilmente labile, e sottrattivo, si azzarda in voli che vadano oltre i limiti, oltre la sintassi. Ma pur complesso il suo canto, pur sgorgato da una sorgente che deve farsi spazio fra pietre dure e ricamate di muschio, alfine trova luce. E scorre limpido e gorgogliante ai raggi del sole; scorre limpido tra rive profumate di speranza; verso il mare: “Ma, non è così./ Il cielo,/ ha anche luce,/ non solo buio./ Al sole,/ o coperto da nubi,/ parla d’amore,/ ed è forse più facile/ conservarne  memoria/ nella grotta della vita”. E credo che questa citazione contribuisca non poco a chiarire il dipanarsi della suo pensiero poetico, il suo essere che mi piace vederlo volare libero, nell’Immenso, in balìa del vento, di un sereno riposo, con in cuore un ritorno vicino, un sole d’amore.

Libero poi me stesso nell’Immenso, con il vento,
vivere la vita qui, respirando te.
Calore adesso dal camino,
sereno riposo immaginando un ritorno vicino.

                                                    Nazario Pardini
 18/01/2014



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