mercoledì 19 marzo 2014

FRANCO CAMPEGIANI: "SUL POSTMOERNO"

SUL  POSTMDERNO

Occorre valutare attentamente la polemica nichilistica nei confronti del mito. Cos'altro è, infatti, il Superuomo, se non un mito? Il nemico da abbattere, per il nichilismo, non è mai stato la mitopoiesi, ovvero la creazione di miti, la rivelazione di sensi inediti e segreti della vita, bensì la mitologia stanca e ripetitiva. La storia umana è stata sempre segnata dall'alternanza tra mitopoiesi e mitologia, tra nascita e decadenza del mito. All'inizio di ogni processo culturale troviamo sempre e comunque un mito. E' esso ad accendere la storia e al di fuori di esso la realtà non nasce, non si produce neppure. Ne segue che la storia non è altro che la storia del mito; e che la stessa fine del mito appartiene alla storia altalenante e ciclica del mito.
Ben venga pertanto una poetica che prenda atto di tale esaurimento e che non abbia paura di ammetterlo, accettando il dolore della palude. In fondo, soffrire per gli dèi mancanti è il solo modo che abbiamo per evocarli ancora, per richiamarli in vita. E poco importa se a rinascere saranno gli stessi dèi, o altri di cui non si supponeva esistenza. Quel che conta è che sappiano ispirare un nuovo ciclo di passioni vitali, di avventure culturali e di energia creativa. Se il Postmoderno riesce a far questo, sia il benvenuto. Non certo se il suo intento, anziché di attraversare lo stagno, sia quello di restarvi affogato.
E' sempre esistita una poetica della realtà, ma mai tale poetica ha pensato di potersi dissociare dal mito. E' stato così per il Neorealismo, così per il Verismo... così per Omero, per Dante, per Leopardi e Pasolini. Esaurito il furore avanguardistico (che di miti ne ha coltivati tantissimi, a partire da quello della macchina, della velocità e dell'azione) le poetiche postmoderne hanno forse deciso di gettare la spugna rinunciando definitivamente al mito? Se è così, bisogna correggerne il tiro, richiamando immediatamente in causa - da postmoderni quali indubbiamente siamo - la vitalità perenne degli archetipi, o dei principi universali, sempre pronti ad ispirare rinnovamenti e rigenerazioni di energia.
E' questo il solo modo che abbiamo per superare il narcisismo dell'Ego. Non è sufficiente sostituire l'Io con il Noi per uscir fuori dalla sfera soggettiva (e perché no, allora, con il Voi? o con il Loro addirittura?). La dimensione sociale e culturale è pur sempre una realtà soggettiva, ed è un escamotage risibile sostituire il soggettivo con l'intersoggettivo, magari presentandolo erroneamente come realtà oggettiva (la quale, d'altro canto, assume valore soltanto come esperienza soggettiva). Per cui superare il soggettivismo è possibile in un modo soltanto: approdando ai principi universali, a quegli archetipi che stanno fuori dal tempo e che proprio per questo sono perennemente presenti nel tempo, senza lasciarsene imbrigliare.    
Tornare alle origini, dunque, non in senso nostalgico o passatista, e pertanto originario, ma nel senso originante del termine, ovvero innovativo e finanche rivoluzionario. Altro che memoria antiquaria! Questa, al contrario, è appannaggio di certo citazionismo postmodernista (si pensi alla Transavanguardia) che, privo di idee nuove, non fa che girare a vuoto, navigando nel mare del noto e dell'acquisito. La cultura postmoderna, così come si viene configurando, è profondamente conservatrice, proprio in quanto vive esclusivamente di mitologie, di ricordi antiquari e funerei: un teatro del nulla, radicato nel vuoto molto più di quello dechirichiano, e programmaticamente privo di spinte innovative.
Da qui l'elogio dell'anacronismo come colto, ma bolso e funereo ricordo di stagioni passate, mentre c'è un uso possibile di forme e stilemi propri del passato, che è attualissimo e non anacronistico, mitopoietico e non mitologico; innovatore e non conservatore. Questo perché non basta modificare la forma per essere certi di fare proposte innovative. Si può essere nuovi e freschi nella sostanza, pur scrivendo alla maniera antica. E viceversa, naturalmente. Sono questioni di lana caprina.

                            Franco Campegiani        



1 commento:

  1. Aggiungere dell'altro a questa disamina sul Postmoderno, ritengo davvero sia impossibile. E' stato detto tutto e inequivocabilmente.
    L'importanza del mito (non della mitologia), la sua sempre nuova realtà, rappresenta il vero superamento tanto del soggettivismo egocentrico quanto del nichilismo oggettivo e materialistico. Ma non aggiungo di più; voglio soltanto riportare questo passo, che vale più di mille spiegazioni:
    "Ne segue che la storia non è altro che la storia del mito; e che la stessa fine del mito appartiene alla storia altalenante e ciclica del mito.
    Ben venga pertanto una poetica che prenda atto di tale esaurimento e che non abbia paura di ammetterlo, accettando il dolore della palude. In fondo, soffrire per gli dèi mancanti è il solo modo che abbiamo per evocarli ancora, per richiamarli in vita. E poco importa se a rinascere saranno gli stessi dèi, o altri di cui non si supponeva esistenza. Quel che conta è che sappiano ispirare un nuovo ciclo di passioni vitali, di avventure culturali e di energia creativa. Se il Postmoderno riesce a far questo, sia il benvenuto. Non certo se il suo intento, anziché di attraversare lo stagno, sia quello di restarvi affogato.".

    Sandro Angelucci

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