mercoledì 8 ottobre 2014

N. PARDINI LETTURA DI "I TRE NOMI DELLA VITA" DI F. OLIVO FUSCO





Franca Olivo Fusco: I tre nomi della vita
Biblioteca dei Leoni. Castelfranco Veneto (TV) 
2014. Pg. 96





I tre nomi della vita: vita, morte, amore. E quali potrebbero essere gli ingredienti di maggiore resa poetica, e, al contempo, di maggior intensità esistenziale, di maggior riflessione emotivo-speculativa. “La morte e la vita hanno lo stesso sapore – afferma un poeta contemporaneo - si innestano fra loro fino a compensarsi, fino ad acquisire un senso che non esisterebbe senza l’apporto dell’una e dell’altra”. Plaquette generosa, densa, zeppa di motivazioni umane, i cui versi, con energica e simbiotica fusione fra dire e sentire, si espandono oltre le ristrettezze della vicenda umana. La poetessa, partendo dalle considerazioni sulla fugacità e irreversibilità del tempo, sulla precarietà dell’ora e del giorno, si abbandona a struggimenti di vera liricità. D’altronde è cosciente della sua sorte, ma per questo ama come una cosa sacra il breve soggiorno che le è toccato:

Sono attaccata
alla vita
come l’avaro
al denaro (Voglio vivere).

Un attaccamento morboso, intenso, e plurale. Un attaccamento che da soggettivo si fa oggettivo e fortemente traslato. Un sentimento che tutti noi proviamo uscendo da un cimitero, dopo aver visto con sorpresa volti di amici e conoscenti che ci hanno lasciati:

Respirare aria di vita
in un luogo di morte 
e guadagnare l’uscita
benedicendo la sorte (Cimitero di Sant’Anna).

E non di rado l’Autrice si serve di versi di autori di valenza letteraria per dare più forza al suo patema vicissitudinale. Tanto che l’amore, il sentimento dei sentimenti, acquisisce rilevanza poematica e forte connotazione emotiva se misurato alle ristrettezze dell’esistere:

L’amore è un soffio in più
al respiro della vita (Mio intimo fiato),

se misurato al pensiero assillante di una fine. Sì, l’amore si fa grande occasione, vitale momento di una plurivocità tale da essere il focus determinante, l’alimento indispensabile del nostro esser-ci, come afferma Helvétius in un  verso riportato dalla Nostra:

Non si vive se non il tempo che si ama.

C’è in questa opera una potenzialità sentimentale e una meditazione filosofica tali da fare della dualità fra bene e male, fra eros e thanatos, fra vita e morte, uno slancio oltre la siepe che ci limita, oltre l’etimo della parola; il verbo si fa fiore nel giardino della poesia, come nel giardino della vita i fiori si fanno amori. È qui il valore che la Nostra dà al sintagma, dal momento che gli assegna il compito di rivelare tanta sostanza creativa, fonica e cromatica. E si sa quanto sia difficile trovare quegli involucri giusti per dare corpo all’intensità del nostro sentire e azzardare voli oltre l’idea della sottrazione, del redde rationem; e la Fusco lo fa  affrontando le questioni più impellenti della società, come l’accanimento terapeutico, l’eutanasia, l’aborto:

Chi dà la vita
non può dare la morte (Solo una madre).

Non so se vedrò
mai approvata
la legge
sull’eutanasia.
Ho visto però
entrare
in vigore
la legge
sull’aborto.
Eppure il feto
non aveva espresso
scelta alcuna (Diritto alla vita),

o affrancandosi dalle miserie del quotidiano con gli slanci romantici in fiori di parole, dacché “La vita per alcuni/ è una malattia cronica/ che guarisce con la morte”. In questo continuo gioco di contrapposizioni  fra gioia e dolore, fra musica e silenzio, fra giardini e cumuli di cemento, si innesta un memoriale dalle tinte policrome, che riporta a vita sprazzi di primavere:

Conservo ammucchiati
come fasci d’erba falciata
i giorni più belli.       
 Sono freschi,
ancora pieni di vita (I nostri ricordi).

E il tutto scorre con fluidità e melodia, con vivacità visiva e contaminante, su uno spartito di note che concretizzano momenti di generosa empatia. Versi brevi, apodittici, pièces contenute, incisive, che, con forza maieutica e folgorazioni iperboliche, si affratellano alla pienezza ontologica di Franca Olivo Fusco.
E anche se “la vita – mortale -/ è un pretesto/ che giustifica/ l’immortalità/ della morte”, e anche se “La vita/ si affanna di fatica./ Ma tanto è inutile./ E’ sempre sorpassata/ dalla morte”, e anche se la Nostra  si rifugia “nell’evanescenza/ del sogno/ per sfuggire/ alla realtà”, è pur cosciente di avere vissuto con intensità, con amore, con gioia tanto da lasciare:

La tavola imbandita
sazia d’amore e di vita.


Nazario Pardini

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