lunedì 23 febbraio 2015

VITO LOLLI SU "PENSANDO A TE" DI FRANCO CAMPEGIANI






Vito Lolli: "Rivelazione del Cerchio Iridato"

Vito Lolli pittore


Franco Campegiani collaboratore di Lèucade

Amore

Sono molte le riletture fatte prima di intervenire, caro Franco, per lasciar dissolvere varie superfici pluristratificate di vissuti personali che finiscono per determinare letture limitanti, sovrapposizioni d'abiti che celano ciò che il potere della lirica può evocare. In questo caso, il vissuto d'amore, necessitato all'ineffabilità. 
E quando il linguaggio deve riconoscere il suo limite di fronte a ciò che lo genera e lo alimenta, misterioso ed enigmatico, deve misurarsi con lo sforzo lirico, lasciarsi coinvolgere in quel turbine estatico transpersonale che, nel rischio tragico dello spaesamento dissolutivo dell'io quotidiano, si concede alla possibilità mitopoietica dell'azzeramento della conoscenza. L'accelerazione orgastica dionisiaca culmina nella metanoica freccia apollinea: una mente si dissolve con tutto il suo bagaglio, e una mente non più mendace si ritrova, neonata, ad essere utero di un vissuto mai vissuto, per il pensiero mai pensato, per la parola mai pronunciata. 
Questo, Franco, è il locus solus della lirica e il tuo "Pensando a Te" mi giunge come tensione di un volontario annegare nel Mare, senza nome o identità, della necessaria rigenerazione che, ora, la nostra storia esaurita deve patire. E so di dirla grossa (bisogna pur osare..): un Mare che Leopardi sfiora soltanto e per questo "...per POCO il cor NON si spaura..."
Un silenzio che, rischiando di ritrovarsi nel seno di parole la cui storia culmina nell'abuso depotenziante, ne coglie la forza residua in un rinvio simbolico: il parlare diventa coscienza del non-poter-più parlare, il dire tenta la trasmutazione nella muta immagine, di cui la tua lirica è finemente ma possentemente tessuta. Qui, forse, abita il mistero della mitopoiesi che, appunto, è la muta ("mythos", "myein") emergenza dell'Immagine dalla insondabile abissalità psichica, immensa perché senza misura. Tu sai e non sai del vissuto che si propone attraverso la tua lirica, che per me HA questo potere. Simboli che si rincorrono, si sequenziano, sembrano esistere l'uno dentro l'altro in quel Chaos puro e possente che fa dell'estasi amorosa la cifra di quell'istante in cui la Verità dell'Essere si svela nascondendosi in ciò che mostra: la "A-lètheia" (il non-nascondimento) come strazio ispirativo in cui l'uomo è dilaniato dal contatto istantaneo del vagabondare del dio ("Ale-thèia"). 
Per questo ti posso dire, io che vivo il Silenzio dell'Immagine, in cui parole e numeri sono meravigliose foglie stagionali destinate all'autunno, che sei nel giusto quando chiami questo tuo vissuto dal frutto lirico "vibrazione sacrale" ed è questa vibrazione sacrale che ora abbisogna del massimo sforzo di amplificazione e diffusione. 
La misteriosa iscrizione che sembra fosse presente nel retro del tempio apollineo delfico, ma nota ormai solo come spunto tradizionale, "ESCHATO BABELOI" ("Giunga alla fine la confusione", nel cui termine si associano anche i significati di "barbarie" e "ignoranza"), può essere, insieme alla più nota iscrizione del fronte d'ingresso "GNOTHI SEAYTON" ("Conosci te stesso") il programma di uno sforzo comune con cui dare profondità e forza alla linea del vostro manifesto "IL BANDOLO", cui vorrei dare personale adesione. 
Grazie, Franco, e a presto

Vito Lolli




PENSANDO A TE, di Franco Campegiani



1
Già prima d'incontrarci,
da qualche parte eravamo insieme.
Ci conoscevamo,
non sarebbe possibile altrimenti
la complicità scoppiata
all'improvviso tra di noi,
quell'intenso guardarci nel tramonto
con occhi al di là dei nostri occhi,
per sapere chi siamo veramente,
vogliosi di totale comprensione.
Di sicuro c'era, non visto,
un altro sole nel cielo,
al di là del tramonto,
quella sera a brillare.
E noi due sulla spiaggia purissimi,
nel sorriso calmo e lucente
che invadeva sottecchi le cose.
2
Morire in te,
nei neri laghi
dei tuoi occhi limpidi,
come sole che muore
nel notturno mare.
Spegnermi come si spegne
questo ciclone di fuoco che cade
nella rete del pescatore.
Così, languente,
cadere anch'io mollemente
nella rete pescatrice
dei tuoi capelli al vento
nella dolce sera.
E come stella accendermi
nel golfo delle tue ciglia vivide,
nel palpito fremente
del grembo universale.
3
Il tuo sorriso è un passaporto
per viaggiare dentro la vita
senza farsi invischiare dalla vita,
senza cadere nelle trappole del male,
nelle panie del dolore,
nelle ferite della volgarità.
Il tuo sorriso è l'innocenza
che viene dalle roride aurore
con passi lievi ed alati,
fedele alle vertigini
del primo giorno che la terra fu.
4
Baci di fuoco
sull'arenile arrossato
nell'ultimo gocciolare della sera.
Poi un chiaro di luna sul mare,
al di là dei finestrini appannati,
e nella distesa argentata
eccoci galoppare a perdifiato
sui nostri cavalli alati,
occhi negli occhi
nel sincronico respiro
fino a cadere stremati.
Dopo un sonno di pietra
ci sorprenderà l'aurora
come Adamo ed Eva nel vagito
del primo mattino.
Scioglieremo l'abbraccio
quando il carro di fuoco verrà
per la sua corsa vorticosa
nelle piste del cielo.
Vi saliremo impavidi
in un grido di guerra
armati soltanto del nostro
invulnerabile cuore.
5
Mi hai trovato infine
in fondo ai silenzi.
Ero torre solitaria
lungo i litorali deserti,
bastione eretto a difesa del nulla,
contro l'assalto delle onde e dei venti.
Hai spalancato ogni uscio
entrando con l'uragano
del tuo sorriso d'argento,
delle tue mattine di spuma.
Hai riempito ogni stanza
con i voli bianconeri
delle tue ali d'angelo,
con quella tua gioia
onesta e incontenibile
che vola sul mare
nei chiari di luna e si fonde
con i sobri colori delle aurore.
6
Non vederti
mi procura sofferenza,
ma la gioia è più grande
perché so che ci sei.
Questo vuoto è colmo di te,
questo silenzio scoppia di vita.
Pusillanime Orfeo,
quando eri al mio fianco
io non sentivo il respiro tuo ansante,
le tue carezze, i tuoi baci.
Così svanisti, Euridice,
perché io ero pieno di me, del mio canto,
non avevo altro spazio nel cuore.
Ed ora frecce nel cuore
allo spuntare del giorno...
Questo dolore fa bene, rinnova.
Ora che son vuoto di me
e finalmente sono Nessuno,
indosso i panni di Ulisse
e tu ancora sei qui, mia Penelope,
pur essendo lontana.
Tu, pensiero tenace,
tu soffio incerto di nuvole
più potente del tornado.
7
Penso a te,
al tumulto innocente
di fiori e d'albe
che il mistero mi regala.
Non ti sciuperò, saprò tenerti
nel giardino senza coglierti,
così da restarne per sempre ammaliato.
Legarti a me per lasciarti libera,
come io son libero
quanto più a te mi sento legato.
Nel sole nero dei tuoi occhi
mi specchio
e mi vivo.





1 commento:

  1. Caro Vito, la tua lettura delle mie poesie d'amore è particolarmente profonda e suggestiva. E' un'interpretazione esemplare che aiuta (anche me) a comprendere meglio gli intenti della mia scrittura: "un volontario annegare nel Mare, senza nome o identità, della necessaria rigenerazione". Il Tutto e il Nulla non sono che facce della stessa medaglia: l'Assoluto. E cos'altro è l'Amore se non esperienza e ricerca dell'Assoluto? Bisogna morire per rinascere, ma morire davvero! Tornare a capo, voltare pagina, perché ogni pagina scritta fa a sé, è un'esperienza in sé conclusa, "un istante in cui la Verità dell'Essere si svela nascondendosi in ciò che mostra". Ed è per questo che occorre perennemente ritornare nella "vibrazione sacrale", "nella vertigine del primo giorno che la terra fu". La grazia e la disgrazia si rincorrono. Come la Luce e le Tenebre, come l'Ordine e il Caos. Sono l'uno nell'altro. Per cui, se è vero che oggi siamo a un passo dalla fine, è altresì vero che si viene preparando l'inizio di un'era nuova. Sono queste le speranze del ("nostro", non "vostro") Manifesto culturale. Ti conosco da anni, Vito, e sono certo che la tua adesione al BANDOLO sarà proficua e significativa.Grazie.
    Franco Campegiani

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