venerdì 8 maggio 2015

N. PARDINI: LETTURA DI "RIVERBERO" DI PAOLO BASSANI





Paolo Bassani: RIVERBERO. Poesie e racconti. 2015
(stampato in proprio)

Ci scrive l’Autore in una citazione che fa da antiporta, da prodromico avvio alla lettura: “… In fondo, come ci ricordava Mario Luzi, scrivere è per l’autore un elementare bisogno dello spirito che si incontra con la cultura, cercando di far diventare il segno convenzionale parola viva”. E questo è l’intento di Bassani che, con un linguaggio morbido e suadente, riesce ad esprimere tutto il suo pathos esistenziale, tutto il suo credo estetico ed etico, tutto il suo impegno politico-sociale, ora con rime di affabulante musicalità ora con prose agili e zeppe di umanesimo e di umanità. Ho avuto l’occasione e il piacere di leggere i contenuti dell’opera in quanto già pubblicata in gran parte su questo blog. E mi piace riportare qualcosa di quello che ho già scritto su alcuni punti  per  me indicativi a delineare la psicologia e la struttura morale dello scrittore. Soprattutto rifacendoci alla sua storia e alle sue vicissitudini che gli hanno dato la possibilità di commisurare i sacrifici dei tempi bellici e postbellici con gli agi dell’attuale società di cui i giovani godono, incoscienti, spesso, di quello che i loro padri hanno dovuto sopportare per conquistare quella libertà di cui beneficiamo. Basta leggere il brano dal titolo Le foglie dei castagni  per renderci conto del potenziale emotivo-intellettivo della prosa di Bassani; o La mia patria per avvicinarci alla pluralità e alla polivalenza di una poesia, che, con versi motivati da un naturismo loquace e fortemente simbolico, riesce a concretizzare gli abbrivi ispirativi e culturali  (cultura = coltivare per donare) del Nostro:  “Qui il memoriale si fa interprete principale di una narrazione che riporta a vita momenti, fatti e personaggi  di uno dei periodi più tristi della nostra storia: quello della Seconda Guerra Mondiale. È così che inizia il racconto di Bassani: “Castagni Grossi: questo il nome di una località sperduta tra i monti di Caprigliola; una zona immersa nei boschi sul versante sinistro della Valle dei Mulini, di fronte al monte Grosso”. Ed è qui che la famiglia dello scrittore, assieme ad altre due di parenti sfollati dalla Spezia, trovò ospitalità presso la cascina dello zio Ermanno. Le città si spopolavano, e gli abitanti cercavano rifugio nelle campagne, da amici, parenti o conoscenti per allontanarsi il più possibile dai bombardamenti e per trovare luoghi dove poter mangiare. Avvenimenti, personaggi, incontri, generosità, condivisione fraterna fra famiglie disposte a dividere un tocco di pane. E là i tedeschi, con i loro mitra spianati, con la loro furia omicida, con i loro espropri di beni che i paesani mettevano assieme con anni di lavoro… e poi, finalmente, il suono festoso delle campane di Caprigliola, interminabili, impazzite di gioia. Era  il 25 Aprile, data di liberazione e di grande festa nazionale. Si intermezzano significative poesie di Bassani-poeta a completare e rendere emblematica l’opera. E credo sia cosa ottima, a livello documentaristico e poetico, proporvi parte di quella composizione che raggiunge vette di un panismo lirico di grande resa poetica…; un profumo di parole che sanno di buono, di umano, di fratellanza, di amore; dove il poeta ha abbarbicato le radici, perché, là, libertà e legge non hanno bisogno di custodi in quanto fanno parte dell’uomo della terra”:

ALLA MIA PATRIA

La mia patria è qui
in questa terra
aperta sulla  valle
nel verde di pini
    d’olivi
      e di castagni;
qui dove a giugno
immense macchie di ginestre
s’accendono di sole
e lontani profumi
il vento leggero
del meriggio
     esala;

(…)
                            
qui dove le case
non hanno cancelli
reti o muri intorno
ma l’uscio sempre aperto;
dove il nascere
     il vivere
         il morire d’ognuno
è per tutti
     un grande evento.

(Paolo Bassani)




DA RIVERBERO

poesie e racconti di Paolo Bassani

Presentazione di Francesco D’Episcopo


  
Fedeltà alla poesia della vita

   La vita è l’arte dell’incontro, diceva un poeta brasiliano, amico di Giuseppe Ungaretti, Vinicius de Moraes, ed io incontrai Paolo Bassani alcuni anni fa, in occasione di un bel premio letterario, Portus Lunae, che mi fu dato in una delle piccole isole che fronteggiano il golfo di La Spezia. Mi affidò qualcuno dei suoi libretti, in poesia e in prosa, fatti regolarmente in casa e stampati in proprio, che lessi in breve tempo durante il mio viaggio di ritorno. Rimasi colpito dal candore, oltre che della persona, delle sue parole, scritte con quella profondità che sempre la semplicità comporta, quando è sincera, e sgorga, come l’acqua, da una fonte spontanea.
   Sono ora qui a scrivere poche parole per lui, che, assecondando il suo carattere schivo, sobrio, non me le ha chieste, ma che io, invece, ho sentito di offrirgli come gesto di simpatia e di stima per l’umanità che si espande naturalmente dalla sua poesia. In lui, infatti, come accade a chi davvero prova le cose che scrive, poesia e vita sono la stessa cosa. Ed è importante, molto importante, che poeti della vita e della parola abbiano il riconoscimento che meritano.
   In verità, Bassani alcuni premi li ha vinti, qualcuno davvero importante e imprevisto, e li ha vinti soprattutto per la persuasività della sua parola, mai svagante, ma sempre rigorosamente attinente all’argomento prefisso. Basta, del resto, seguire la natura delle cose per aderire più intensamente e intimamente a ciò che la vita e la poesia suggeriscono.
   Bassani, in questa silloge di poesia e prosa, ricorda, rimpiange personaggi e posti, che hanno fatto bella la sua vita; onora e rispetta, come pochi, coloro che hanno dato la vita per noi; non confonde mai il bene e il male, anzi invoca una giustizia più giusta, che riconosca ed esalti il bene e condanni  e punisca il male. Si lamenta, a ragione, dell’incuria del nostro tempo per un passato che andrebbe preservato da gratuite e stupide violenze. Ripercorre con levità stagioni della sua e nostra vita, nelle quali è facile riconoscersi e ritrovarsi: le antiche case contadine, descritte nei minimi particolari; usi e costumi di una civiltà, dominata da una solida armonia, da una solidarietà, che sono certamente in parte scomparse.
   Egli tratteggia momenti popolari della storia della sua città, ad esempio, quelli in cui il filobus prese il posto del tram, ma anche delle sue valli vicine, come quella Val di Vara, di cui offre una sintetica e sostanziale guida sentimentale.
   E poi c’è il suo vissuto più personale: figlio di un ferroviere, appena perduta l’amatissima madre, trova lavoro e una famiglia di amici. E poi le difficoltà, a cui la vita sottopone lui e la sua nuova, vera famiglia.
   Questo libro è il <<riverbero>> provinciale, nel senso più alto, di una storia nazionale, di cui non sempre ci siamo sentiti protagonisti.
   Solo la poesia restituisce, a chi la concepisce e la vive come atto d’amore e di partecipazione civile, la cittadinanza morale che spetta ad ogni uomo, di qualsiasi razza egli sia; una cittadinanza, che reca impressi i segni dell’amore, della condivisione, dell’onestà. Bassani, distrattamente, non pagò un biglietto sul suo filobus cittadino, ma ha certamente pagato, con attenzione, il biglietto che più conta: quello alla vita e alla sua passione più vera, la poesia.

       Francesco D’Episcopo      


DUE PAROLE AL LETTORE
In queste pagine ho voluto proporre alcune poesie e racconti che mi sono particolarmente cari, perché sono diventati parte del mio esistere. Lo stesso titolo “Riverbero” dato alla raccolta intende significare che la parola, la scrittura, ha assunto la funzione di uno specchio che riflette attese, speranze ed emozioni del percorso esistenziale. In fondo, come ci ricordava Mario Luzi, scrivere è per l’autore un elementare bisogno dello spirito che si incontra con la cultura, cercando di far diventare il segno convenzionale parola viva.
Buona lettura.

L’autore


IL PAESAGGIO


TERRA PROMESSA

Siedi
sullo scalino
di pietra...
Lontane voci di bimbi
udrai
e rari suoni di passi
nell'eco di chiuse vie.
Odore di legna,
di pane ancora caldo,
ti porterà
alle antiche case
ove brilla ancora il fuoco
e il geranio adorna
minute finestre
esposte all'infinito.
Profumo di vino nuovo
ti condurrà
nella penombra quieta
di volte e di cantine linde.
Stupito
ancora
sarai
del tuo paese,
malinconico emigrante.
Struggente
sentirai
l'attesa del ritorno.
In questi colli
aperti sulla Magra,
rossi di vigne
e placidi d'olivi,
ecco, splendida nel sole,
la terra tua promessa.
________________________________
Prima classificata – Premio Nazionale “Val di Vara” 1980 – Varese Ligure


ALLA MIA PATRIA

La mia patria è qui
in questa terra
aperta sulla valle
nel verde di pini
d'olivi
e di castagni;
qui dove a giugno
immense macchie di ginestre
s'accendono di sole
e lontani profumi
il vento leggero
del meriggio
esala;
qui dove ancora
il cuculo scandisce
e alterna il suo richiamo
a lunghe pause di silenzi.
La mia patria è qui
tra questa gente antica
ormai sempre più rada
semplice nei gesti
e nobile nel cuore
gente indomita
tenace
alla terra legata
e alla parola:
umile gente
dignitosa.
La mia patria è qui
dove libertà e legge
non hanno bisogno di custodi
perché sono parte dell'uomo
della terra;
qui dove le case
non hanno cancelli
reti o muri intorno
ma l'uscio sempre aperto;
dove il nascere
il vivere
il morire d'ognuno
è per tutti
un grande evento.
___________________________________
Prima classificata Premio Nazionale “Gabriele Rossetti” 1991 – Vasto (CH)


RIO SECCO

A te
correvo dopo il temporale
quando al lieve fremito del vento
ancora la pioggia
lucente
cadeva dai fiori e dalle foglie.
Solitario
m'incantavo al sordo rumore
e torbido impeto dell'acque.
A te
venivo con mia madre
nei giorni di sole
a empire la secchia
con il vecchio mestolo di rame.
Limpido
nella freschezza del mattino
lasciavi trasparire
profondità di ghiare
nel tremulo riflesso
d'un volto sorridente
stampato nel sereno.
Attraversarti
saltando di pietra in pietra
era la mia gioia di bambino.
A te
vorrei tornare un giorno;
trovare ancora
nel tuo riflesso puro
intatta
l'immagine del volto sorridente
e la serenità del cielo;
saltare di pietra in pietra:
attraversarti ancora.
Vorrei tornare
prima che scivoli sull'acque
inesorabile
l'ombra lunga dei castagni.
Vorrei, vorrei tornare adesso!
Ma ho paura
di non trovarti più.
__________________________________
Prima classificata Premio Nazionale“Val di Vara” 1995 – Varese Ligure


SIESTA

Lasciatemi quest'ora di quiete
adesso che il sole avvampa
e le cicale spandono
il canto del loro abbandono.
Come allora lasciatemi posare
il capo sul guanciale di sacco
all'ombra fresca della volta
e ritrovare quel profumo antico
di pane, di legna e di cantina.
Ancora gli occhi socchiuderò
alle bianche nuvole del cielo
immobili come l'aria che a quest'ora
stagna sui campi e sulle case,
lungo i sentieri della valle
e nel verde fitto dei castagni.
Anche i pensieri cercano riposo
nel pomeriggio dell'estate
mentre -di tanto in tanto- il tuono
brontola lontano dalla Cisa.
M'intimoriva un tempo il suo mistero;
adesso, invece, io l'attendo
come la voce amica dell'infanzia:
nenia dolce che mi riporta al sonno.
_______________________________
Prima classificata Premio Nazionale “L’Ambiente” 1996 – Tarsogno (PR)


AI CASTAGNI

A voi ritorno, amici miei castagni,
in questo afoso giorno dell'estate.
La nostalgia d'un tempo mi sospinge
alla magica terra dell'infanzia.
Allora voi placaste la mia fame.
S'aprivano le ricce come scrigni:
generose e lucenti le castagne
furono il nostro pane quotidiano.
Non ho più fame, ma solo sete adesso.
Con le foglie preparerò il bicchiere,
ché l'acqua pura dell'antica fonte
possa spegnermi in cuore quest'arsura.
Ho tanta sete d'alba e di rugiada.
Voi solo ormai serbate di quegli anni
liete stagioni e giorni spensierati,
dolcezza di profumi e di memorie.
Datemi ancora un poco di quel tempo!
E quando stanco poserò il mio passo,
non cercherò ombra cupa di cipressi
ma il vostro fresco, tenero di verde.
_________________________________
Prima classificata Premio Nazionale “L’Ambiente” 1999 – Tarsogno (PR)


LA MEMORIA


STAGIONI

Presto, a sera, il sonno chiudeva
i miei occhi di bambino
e il capo s'adagiava
sul vecchio tavolo di legno.
Allora, mia madre dolcemente
mi coglieva col suo abbraccio.
Ricordo ancora
il suo sussurro e il bacio,
il ruvido lenzuolo odoroso di bucato
e il crocchiare del giaciglio.
Poi, d'un tratto, già l'aurora
nel dorato raggio che filtrava
dai ricami della piccola finestra
e il trepido suono del suo passo.
Sono passati gli anni,
non mi addormento più
sul tavolo la sera.
Adesso,
s'è fatto fragile il mio sonno:
s'infrange al minimo rumore
e a cerchio
erranti s'allargano i pensieri:
notturni flutti inquieti alla deriva.
Attendo l'alba.
Ma sempre più, tarda la sua luce.
__________________________________
Prima classificata Premio Nazionale “Olinto Dini” 1997
Castelnuovo Garfagnana (LU)


TU CHE PORTAVI LA PRIMA MIMOSA

Eri svanito nel tempo...
Ti credevo lontano:
ripartito per terre
ove non cresce l'olivo
e la nebbia nasconde l'azzurro,
tra gente che non ti capisce,
sospinto da un povero sogno,
lo stesso di sempre,
che nasce fatale
in sperduti sobborghi
d'antica miseria.
Ora so che non eri lontano.
Eri già qui,
nel silenzio di questa collina
battuta dal vento di mare
e arsa dal sole
che spacca le pietre:
qui vicino ai cipressi,
tra erbe
e selvatici fiori seccati
che nessuno più taglia,
ad attendere
i bianchi gabbiani
che tornano a sera;
a vegliare le stelle
nei cieli infiniti
di limpide notti;
a sfogliare
in silenzio
l'ingiallita corolla del tempo.
Caro amico di scuola,
nei dolci ricordi lontani
di quando in classe
portavi la prima mimosa,
questa sera qui ti ritrovo;
ora che è tardi:
ai piedi d'una povera croce
di legno;
seduto sulla vecchia valigia
consunta di sogni
e di pene,
ad attendere l'alba
che nasce
dall'ultimo giorno.
_____________________________
Prima classificata Premio Nazionale “Giovanni Fantoni” 1983 Fivizzano (MS)


MA SARA' ANCORA LA TUA VOCE...

Di te mi parla ancora
la tua terra questa sera.
Rinverdisce la memoria
immagini lontane
ora che si spegne ogni sussurro
e nell'ombra prossima alla notte
s'espande sui tuoi campi
malinconia di grilli.
Come una volta
ancora accenderò il lume,
lo appenderò alla trave;
fioca la sua fiamma
disegnerà sui muri
ombre lunghe, incerte,
ma io ritroverò ogni cosa
come l'hai lasciata:
la mastra e la vetrina grigia,
il mortaio di marmo
e le teglie appese alla parete,
la secchia con l'acqua
e la mestola di rame,
il focolare acceso
e la scala di legno che sale
alle tavole annerite del solaio.
Ritroverò nel letto
il saccone con le foglie
e il delicato profumo delle mele
distese a maturare.
Ogni rumore ritroverò
e sarà suono, soave:
dalla pioggia che batte
sulle tegole del tetto
al notturno erodere del topo.
Ancora fragrante si farà l'aria
d'antichi aromi:
di pane appena sfornato
d'olivo crepitante al fuoco.
Ma sarà ancora la tua voce
a darti il soffio della vita.
Nella semplicità della parola
ritroverò intatta come allora
la dignità del tuo comandamento:
"Non calpestare neppure una formica!
E' tanto grande il mondo...
per tutti sia la terra;
per tutti il dono della vita."
____________________________
Prima classificata Premio Nazionale “Antonio Taddei” 1995 S. Stefano di Magra (SP)


OLOCAUSTO

Stenda la pietà il suo velo
sui morti di tutte le nazioni,
sparga l'indulgenza del perdono,
annulli ogni eco d'odio e di rancore.
Nessuno però osi strappare
una sola pagina di storia.
Nessuno offenda la verità.
La luce è luce
le tenebre sono tenebre:
chi mai potrà affermare che la notte
è chiara come il giorno;
che tutti ebbero -allo stesso temporagione
e torto,
accomunando diritto e sopruso
libertà ed oppressione
vittima e carnefice;
che tutto fu colpa del destino!
Non si possono negare le stagioni
il corso del sole e della storia.
Eppure, ora qualcuno vorrebbe
falsare anche l'Olocausto!
Potessero la terra e il cielo
smentire la follia dei lager,
l'infamia, la negazione dell'uomo.
Ma come può il carnefice negare
l'insulto che uscì dalla sua bocca,
le percosse e il martirio che inflisse.
Come può l'uomo che trafisse
le mani con i chiodi
e il costato con la lancia,
come può negare adesso
la Passione e la Morte del Cristo
ancora immolato su una croce uncinata.
Stenda la pietà il suo velo
su tutti i morti, su tutte le miserie.
Ma la pietà non può
non deve annullare la memoria.
________________________________
Prima classificata “Premio Nazionale della Resistenza” 1995 Ponzano Superiore (SP)


IL TEMPIO DELLA VITA

Il mio cuore di ragazzo avrebbe voluto
innalzarti un tempio, o Madre,
solenne di marmi e di parole scolpite
per gridare al vento,
al cielo, all'universo,
tutto il mio amore.
Ma ai poveri tocca soltanto
un metro di terra e una croce di legno.
Per loro anche la morte
è provvisoria come la vita.
Non hanno requie i poveri
neppure nell'ultima dimora.
Allora per te, o Madre,
ho innalzato nel mio cuore
il tempio eterno del ricordo,
più bello, più grande,
più sacro d'un santuario.
Qui perenne brilla
la fiamma del mio amore;
l'intreccio candido di rose
contorna di luce e di profumo
la grazia del tuo volto.
Qui non regna il velo gelido dei marmi
né il silenzio desolato della morte;
non trovano dimora crisantemi recisi,
opachi vasi e fiori di plastica,
parole annerite dallo smog.
Qui ancora pulsa l'anello della vita;
mi parla la tua voce,
m'allieta il tuo sorriso.
Ecco la tua casa, o Madre, la mia casa:
il nostro tempio della vita.
__________________________________
Poesia tratta dalla silloge “lungo la via Francigena” vincitrice del Premio Nazionale di Poesia “Val di Vara” 1997 - Rocchetta Vara – SP


PER NON DIMENTICARE

Torna aprile
splendente di sole e di colori
e torna il mio pensiero a te.
C'è una croce lungo la via
a ricordare il tuo martirio,
uno dei tanti, in questa terra
medaglia d'oro al suo valore.
Di te conosco solo il nome,
la data di nascita e di morte.
Della tua vita,
recisa nel fiore degli anni,
soltanto un lampo posso immaginare.
Parlami dunque di te,
della tua scelta
di opporti all'invasore,
al sopruso, alla funesta catena
d'odio e di rovine.
Dimmi
della tua vita
di combattente clandestino,
sempre in allerta
in cammino tra le asperità
e il gelo dei monti.
Dimmi
delle tue attese, delle speranze,
dei tuoi sogni:
di quel venticinque aprile
di cui solo intravedesti l'alba.
Dimmi
che la libertà non fu un dono
ma una conquista
costata un prezzo immenso.
"La libertà è una bianca colomba
che sparge il seme della pace.
Non divide la libertà, ma unisce;
non mette il bavaglio, ma dà voce
anche ai senza voce;
non compra il silenzio la libertà,
non intimidisce, né insulta,
ma ascolta.
La libertà non è un regalo
ma faticosa conquista d'ogni giorno.
Ed ogni giorno deve essere difesa".
_____________________________________
Prima classificata Premio Nazionale “25 Aprile, pagine della nostra storia” 2006
S. Giorgio Morgeto (RC)


NEL BIANCO GRETO DELLA VALLE

Le stagioni passano:
va l’una e l’altra
subito s’appresta.
Vanno gli uomini e gli eventi
le speranze e i sogni;
resta solo la memoria
e la paura di vederla
scomparire nella nebbia.
Anch’io ora so
di questa paura,
anch’io mi sento fragile creatura
ignara del futuro e del destino
innanzi all’ombra dell’oblio
che tutto annulla.
Ti prego, rimani tu, poesia,
a ricordare l’antico canto
nell’ora prossima al risveglio,
quando timido il cielo
accennava il profilo
dei monti più lontani.
Ti prego, riportami indietro negli anni
a freschi respiri profumati d’erbe
nel quieto sentiero dei castagni
verso il limpido sussurro
laggiù
nel bianco greto della valle.
___________________________
Prima classificata Premio Nazionale “Cesare Orsini” 2006 – Ponzano Superiore (SP)


IL SANGUE DI ABELE

Ditemi voi, Martiri di Vinca,
l’allucinato sguardo che non crede,
il grido atroce di chi cade,
il calore del sangue nelle mani,
il rantolo straziante dei morenti.
Ditemi, dell’odio acceso
negli occhi delle belve,
degli artigli feroci
vili
sull’inerme agnello.
Ditemi,
se il tempo debba velare la memoria,
se esiste una pietà
che possa coprire tanta infamia
nel più difficile perdono.
Ditemi,
ditemi ancora le speranze
di quel lontano venticinque aprile.
Ditemi, o Martiri,
se hanno preso forma i vostri sogni,
se libertà e giustizia
sono fiorite come nelle attese.
Ma i Martiri non parlano.
Parlano i loro nomi
scolpiti sulla pietra del Sacrario,
grido e monito perenne
perché la terra,
il cielo e l’universo
mai più conoscano
l’infamia della bestia.
Mai più, mai più in eterno!
____________________________
Prima classificata Premio Nazionale di Poesia in onore della Resistenza 2005
S. Stefano di Magra (SP)


RIMANI ALMENO TU, POESIA

Il mondo dei miei sogni è rimasto
nei giorni d’una lontana stagione
quando la primavera fiorita
alzava il suo canto alla vita
e simile all’alba fugava le ombre
nella crescente luce del risveglio.
Ma ora che scende impietosa la sera
e l’autunno disperde le foglie,
or che tutto s’arrende all’oblio
un grande vuoto s’apre nel cuore,
solitudine amara del nulla.
Rimani almeno tu, Poesia,
a cantare quel sogno lontano.
Come allora, in alto leggera
fai volare emozione e parola,
candida ala di tenera brezza,
trasfondi l’attesa dolcezza
con la limpida voce del cuore.
Vieni, squarcia le nubi e la nebbia
che oscurano il cielo e la terra,
placa l’incendio, il fumo e le fiamme
che assediano uomini e case;
quieta le onde del mare e del cuore.
Nel silenzio che s’apre all’attesa,
come allora innalza il tuo canto,
l’annuncio di una nuova stagione
che ridoni speranza al futuro.
_________________________________
Prima classificata Premio Nazionale “Canta il sogno del mondo” 2010 – La Spezia



LUNGO LA VIA



IL PANE DEL PERDONO

Uomo,
apri il tuo cuore alla pace.
Lo so,
non è facile abbattere
confini di secoli,
rancori di millenni;
colmare abissi di sospetti.
Non è facile
porgere l'altra guancia
a chi t'ha percosso,
innalzare l'olivo
e fraterni canti
sulla terra ancora bagnata
di lacrime e di sangue.
Ma tu, uomo,
apri alla luce la tua mente
e il tuo cuore a pensieri di pace.
Raccogli il pane del perdono
e dividilo
perché ognuno ne abbia.
Non chiederti perché
debba essere tu primo a donarlo;
né come sarà possibile
con un solo pane
sfamare tanta gente.
_________________________
Prima classificata Premio Nazionale “SS. Croce” 1991 - Taranto


JOBHEL

Il suono di jobhel
ancora annuncia
l'avvento del tuo tempo,
Signore.
Riposi la terra
e i suoi frutti doni
ad ogni uomo,
adesso che Tu proclami al mondo
ancora la tua liberazione
nell'anno del riscatto.
Torna tra noi, Signore!
Chinati sulle nostre miserie
con la pietà
del buon Samaritano:
lava
cura
risana le ferite,
da' luce ai nostri occhi
e speranza al cuore
nell'indulgenza del perdono.
Signore, indica la via
a questo disorientato
pellegrino del Duemila
che s'arresta al bivio
e ancora non sa decidersi:
guida il suo passo
sulla via di Emmaus
e accompagna il suo cammino,
perché egli non ceda alla fatica
e allo sconforto del dubbio
se nella sua ricerca
non vede ancora
la gloria del tuo Cielo.
Guidalo, Signore,
perché non si perda nel deserto
e quando si fa sera
giunga alla tua tenda:
a Te che proteggi il pellegrino
e sai placare la sua arsura.
_______________________
Prima classificata Premio Nazionale “San Pio X” 1999 - Massa


ALLA COMETA

Dimmi,
sei tu la cometa che a Natale
appendevo ai miei sogni di bambino?
Avevi una gran chioma allora
ma questa notte in cielo
tra mille e mille stelle
fatico a ritrovarti.
Lo so che vieni da lontano
e nel cammino di millenni
s'è forse perduto
un po' del tuo splendore.
Eppure tu conosci a memoria
galassie e nebulose
ove non giunge sguardo umano,
e inviolati segreti
ancora custodisci.
Vai e puntuale torni nei secoli
come il nascere e il morire
di stagioni.
Non c'è in te presagio infausto
comodo alibi per l'uomo
che addebita alle stelle
l'ombra del suo male.
Non sei tu forse un palpito di luce
nel perfetto disegno del creato?
E la luce non è da sempre
simbolo di vita?
Perché allora taluno ancor s'ostina
a farti profeta di sventura?
Io so che tu non porti male alcuno
oltre quello che l'uomo
cagiona di sua mano.
Tu sei soltanto un astro pellegrino
docile alle regole del cielo.
Semmai, nel ricordo sereno dell'attesa,
per me rimani
l'immutata cometa di stagnola
sul mio lontano presepe dell'infanzia.
____________________________
Prima classificata Premio Internazionale di Letteratura “Frate Ilaro del Corvo 2008”
Ameglia (SP)



PAGINE DELLA MEMORIA


CASA DEL BIANCOSPINO, ADDIO

Scompare un altro pezzo
di storia contadina lunigianese

Ormai la sua sorte sembra segnata. Forse presto arriveranno le ruspe e allora la vecchia casa contadina sarà abbattuta come un animale mortalmente ferito. E il podere sarà sconvolto: olivi con le radici al vento, vigne strappate dai filari, disperso il biancospino. Sui campi divisi da confini sorgeranno muri di cemento, cancelli e reti. Così il nuovo piano urbanistico prenderà forma e del passato non resterà più traccia, se non nel ricordo. Ma anche i ricordi sono destinati a scomparire. Per questo ho chiesto al freddo obiettivo di una macchina fotografica di fermare per sempre le immagini di questo mondo che se ne va.
E’ strano come un velo di malinconia s’avverte dinanzi ad ogni cosa che cade. Forse ci rendiamo conto che è una parte di noi stessi che si perde; sentiamo tutta la fragilità delle cose e della vita davanti all’immensità del tempo. La casa del biancospino sorge nella campagna caprigliolese,
in Lunigiana. E’ stata per generazioni e generazioni abitazione dei mezzadri che legarono la loro esistenza a quella terra. E’ un tipico casolare della vita contadina: addossato al poggio a mezza via sulla collina -sbiadito tra gli olivi- guarda il lento snodarsi del fiume Magra. Semplice architettura: al piano interrato la vecchia stalla e le cantine; a pianterreno la grande cucina con il pavimento a mattoni rossi, il focolare, il forno, le altre stanze con minute finestre esposte all’infinito. La scala di
legno -diritta- che porta al piano superiore pavimentato con tavole disposte sulle grandi travi; e come soffitto le tegole del tetto. Ma questa dimora rurale mi piace ricordarla come la vidi per la prima volta: “Non ha cancelli, reti o muri intorno, ma solo olivi, pergole e filari. Non ha neppure aiuole di giardino per fiori signorili; soltanto il biancospino, un cespo di giaggioli e qualche viola del pensiero. Non ha per guardia il cane lupo ma un vecchio gatto seduto sulla soglia. Davanti all’uscio verde un’aia rossa di mattoni; a fianco, sotto il fico grande, un vecchio tavolo di legno”. Purtroppo, il fico è già stato tagliato. A proposito: di questa pianta voglio raccontarvi un fatto misterioso accaduto il 14 agosto 1981. Nella notte s’era levato un vento forte. Non era il vento di mare che ulula tra i pini della costa, né il vento del nord che scende impetuoso dal monte frustando
gli olivi. Era un vento caldo, strano: senza nome. Quella notte fioche luci erano rimaste accese nella casa contadina: a vegliare l’uomo che, per tanti anni, aveva legato la sua vita a quella terra.
Ebbene, al mattino seguente, le foglie del fico erano completamente ingiallite e in due giorni caddero tutte, come se fosse giunto precocemente l’autunno. Io mi sono fatto una mia teoria
di quell’evento e penso di non essere troppo distante dalla verità. Anche le piante hanno una loro sensibilità e (non so come) partecipano alla gioia e al dolore dell’uomo. Studiosi americani lo hanno dimostrato: sì, le piante si affezionano non soltanto alla luce ma anche alle persone. E semmai è dunque possibile un’amicizia tra uomo e albero, questa non poteva che essere molto forte tra il mezzadro e il “suo” albero di fico, alla cui ombra rimaneva ore ed ore nelle ultime estati, quando la
malattia ed il peso degli anni lo costringevano all’immobilità. La Casa del biancospino ebbe nel 1988 un momento di celebrità, quando nell’antica chiesa di Caprigliola -durante un concerto di musica sacra- la voce della poesia si unì alle mistiche note di Bach per rendere omaggio ad essa, simbolo dell’antica civiltà contadina. Fu un atto d’amore e di giustizia.
Non l’aristocratica villa del padrone della terra, ma la più umile delle case era stata accolta.
Mi ricordo una donna molto anziana: era felice perché aveva creduto di riconoscere nella Casa del biancospino la propria casa. Forse quella donna non aveva più aperto un libro di poesie dai lontani tempi della scuola; forse la sua lettura era stentata, perché non aveva avuto maestri, come -non di rado- accadeva tra la gente contadina d’un tempo; quella gente che però ha insegnato, con la sua dignità, la più alta lezione della vita. La Casa del biancospino è poi entrata nella scuola. E i bambini di Lunigiana l’hanno interpretata con la freschezza della loro età, attraverso disegni e colori. Peccato che oggi debba essere distrutta. Con essa scomparirà un simbolo, un pezzo di storia contadina; quella che forse non apparirà mai sui libri di storia di testo, ma che rimarrà sempre viva nel cuore di chi l’ha vissuta.
Ecco la poesia:

LA CASA DEL BIANCOSPINO

Non c'è una villa
nei miei segreti sogni,
ma solo
una vecchia casa contadina:
sopita tra gli olivi
a mezza via sulla collina
guarda il lento
lucente snodarsi della Magra.
Non ha cancelli
reti o muri intorno
ma solo olivi
pergole
e filari.
Non ha neppure
aiuole di giardino
per fiori signorili:
soltanto il biancospino,
un cespo di giaggioli
e qualche viola del pensiero.
Non ha per guardia
il cane lupo
ma un vecchio gatto
seduto sulla soglia.
Davanti all'uscio verde
un'aia rossa di mattoni;
a fianco,
sotto il fico grande,
un vecchio tavolo di legno.
Qui è vissuta
la mia gente contadina
e qui le mie radici
ho ritrovato;
qui
i miei sogni
non hanno più confini.
Laggiù sull'autostrada
colonne senza fine
forse cercano lontano
questo mondo di serenità.


IL TESTO CONTINUA CON ALTRE STORIE TRATTE DA PAGINE DELLA MEMORIA(1) ABBIAMO GIA' AVUTO LA FORTUNA DI APPREZZARE SUL NOSTRO BLOG ALCUNI DI QUESTI ABBINAMENTI FRA PROSE POETICHE E CANTI, TIPICI DELLA VIS CREATIVA DI PAOLO BASSANI, PROLIFICO SCRITTORE PLURIPREMIATO E ASSIDUO COLLABORATORE.

(1) PAGINE DELLA MEMORIA E' LO SPAZIO LETTERARIO DEL BLOG CURATO DALLO SCRITTORE PAOLO BASSANI


Nazario Pardini  





1 commento:

  1. Ringrazio di cuore il caro amico Nazario per aver pubblicato e commentato "RIVERBERO", il mio ultimo libro che è uscito in questi giorni.
    Paolo Bassani

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