mercoledì 15 luglio 2015

VALERIA SEROFILLI: IN USCITA "VESTALI" E "ULISSE" E NOTA CRITICA A LUIGI CANNILLO



Valeria Serofilli


In uscita ormai prossima delle due pubblicazioni "Vestali" (poesia) e "Ulisse"(raccolta antologica di racconti brevi, già nel 2014 in e-book per LaRecherche e ora in volume), di Valeria Serofilli. Vi presentiamo alcuni passi delle relative opere. Alleghiamo anche una nota di lettura curata a Luigi Cannillo in occasione della recente presentazione curata dal critico Valeria Serofilli all' Ussero.


Le presentazioni dei libri si terranno: 

l'11 settembre alle 17:30  a Firenze presso la Fondazione il Fiore, con interventi critici di Maria Giovanna Missaggia, Ivano Mugnaini ed un saluto di Davide Caramella;
 il 19 settembre alle 18 presso il Cosmopolitan Golf & Resort di Tirrenia con presentazione di Romboli(da cui attendo conferma),letture di Rodolfo Baglioni e musica dal vivo con chitarra di Damiano Bertuccelli;
 il 16 ottobre alle 18 presso il Salone delle Feste di Villa di Corliano con mostra di quadri del pittore fiorentino Giancarlo Ferruggia nonchè miei testi ad essi ispirati.

















SENSO, SOSTANZA E SACRALITA’ DEL VENTO DI LUIGI CANNILLO
                         
Nota di Lettura di Valeria Serofilli a Galleria del vento, (La Vita Felice edizioni, Milano 2014) di  Luigi Cannillo


È un elemento invisibile ma presente e attivo, in grado di far percepire la sua forza e la sua influenza, il vento. È possente e vitale, pur nella sua apparente inconsistenza. La parola stessa, in un certo senso è simile al vento anche se spesso sembra priva di corpo, di materia e  sembra sfiorare le cose senza poterle mutare. Di sicuro non ha il potere di colmare il vuoto e di guarire le ferite del lutto, dell'assenza, eppure, anch'essa, in modo impercettibile ma tenace, scava, muta le cose, le rimodella. È necessario trovarla, o almeno ininterrottamente cercarla, per provare a dare un nome perfino alla morte. Ci si esercita, allora, si sperimenta, ci si fa modelli di calcoli sulle traiettorie, sulla portanza e sull'aerodinamica.
Questo libro di Luigi Cannillo è un  sentito resoconto di tali esperimenti provati e registrati in prima persona: vi si descrivono gli effetti del lutto e il tentativo di andare avanti, nel vento della vita.
“Siamo i lembi separati da sempre/ da sempre ricongiunti/ destinati a inseguirci/ e fuggire appena sfiorati”, scrive Cannillo (pag. 33), dando voce a questo alternarsi costante di necessità e fragilità, vicinanza e abbandono. Come in altre opere dell'autore è il corpo il termine di paragone, la bussola e la tempesta che scombina le carte, smarrisce e fa smarrire. Ma il corpo è anche parola, o meglio la misura della corporeità può trovare un riferimento concreto e ideale nella parola che lo descrive e lo orienta allo stesso tempo. Il corpo è senso, inteso come immediatezza della percezione e dell'istinto, che tuttavia è lanciato verso la ricerca di un senso da intendere come significato, fosse pure la logica dell'illogico. Del resto la vita nasce con la sicurezza amara e spiazzante della morte già insita in sé, nel suo patrimonio genetico. Tra questi estremi si deve muovere il pensiero cercando di esistere e di resistere.
“Chi scuote questa galleria del vento/ dove oscillano fiori e fondamenta/ e palpitanti ci animiamo?” (pag. 11). Esordisce così, il libro. I primi versi racchiudono, come è giusto e coerente, una domanda, destinata a non avere una risposta o ad averne di infinite, una per ciascun destino individuale. In entrambi i casi, nessuna certezza assoluta, ma è questo il senso, il succo, la sostanza del vento, per così dire. Cannillo in questo suo libro alterna spunti filosofici con descrizioni di azioni e oggetti concreti, quotidiani. I due elementi messi in parallelo si rafforzano a vicenda: la filosofia diventa più umana, densa di sostanza concreta; agli oggetti e agli eventi viene conferita o meglio restituita quella “sacralità laica” che è propria di ciò che è intimamente connesso alla fatica e all'arte del vivere giorno dopo giorno. Nella prima epigrafe del libro (pag. 13), del resto, Roland Barthes, sintetizza, seppure su basi differenti, facendo riferimento al lutto legato alla perdita della madre, l'essenza e la necessità di “mantenere il suo ordine domestico, quell'alleanza tra etica ed estetica che era la sua incomparabile maniera di essere, di affrontare la vita quotidiana”.
Il senso si lega al suono tramite un tessuto di assonanze non artificiose, quasi a tentare di dare alla mancanza, al lutto e al vuoto, almeno il beneficio del suono, della musica naturale. “Così che il tempo che si seguiva innocuo/ accelera e sorpassa verso il vuoto” (pag.15), scrive Cannillo nella lirica che apre la Sezione “L'ordine della madre”. Sembra quasi di poter percepire il sibilare di quel sorpasso progressivo e brusco allo stesso tempo, un ossimoro percepito con dolore solo quando è troppo tardi per opporvisi, ammesso che sia stato possibile farlo, in qualche momento.
Le parti descrittive affiancano quelle meditative, come, ad esempio, nella lirica di pagina ventisei, in cui partendo da un giardino e da una fontana l'autore giunge a ragionare sulla “natura [che] si prodiga/ anche verso i morti”. La volontà si innesta sul progetto di mantenere un contatto che non sia solo mentale, ma che affondi le radici negli elementi di base dell'esistenza, terra, acqua, aria. Quegli stessi che alimentano e sostengono il corpo, ancora una volta asse portante della poetica di Cannillo. Partendo da questa base, si può tentare un salto verso il più scosceso dei dirupi, il futuro, il futuro con il fardello delle assenze. Nella lirica successiva, quella di pagina ventisette, compaiono verbi che accennano ad un potenziale domani, anche se restano, ineluttabili, le parole della madre, sia la voce che lo scritto, unite nelle lettere che sembrano ancora parlare con “la loro voce ferma”.
Nella Sezione dedicata ai dodici segno zodiacali, si correlano gli elementi distintivi di ogni segno con le caratteristiche proprie di alcuni tipi umani. Viene posta in connessione l'osservazione del comportamento con la somma delle azioni, creando un legame il cui scopo sembra quello di ragionare ancora una volta, con un tono più lieve, su considerazioni di carattere generale e sugli orientamenti dei destini.
La Sezione successiva è quella a cui si è fatto varie volte riferimento: “Il rovescio del corpo” (pag. 43). La corporeità, dunque, ma percepita tramite approcci e punti di vista altri, alternativi, per vie tortuose che tuttavia conducono a tratti a visioni di ampio respiro. L'epigrafe della Sezione è tratta da Nietzsche e pone fianco a fianco il corpo con la ragione, come poli contrapposti ma conciliabili. O meglio, coincidenti, nell'istante in cui si parla e si evoca la grande ragione del corpo. La civiltà tedesca, rappresentata in questo caso da Nietzsche, è studiata da Cannillo sia per ragioni professionali che per passioni e affinità letterarie. Vi si trova esaltata la coesistenza tra musica e filosofia, razionalità e astrazione, un terreno ideale anche per una poesia che aspiri ad andare oltre l'immanenza per tentare di riflettere su prospettive di ampio respiro. Il progetto è quello di ritrovare una purezza primigenia, anche nell'ambito del pensiero, liberandosi da vane sovrastrutture. Come, per fare uno dei molteplici esempi possibili, nella lirica di pagina cinquantatre: “Nel tuo mondo senza numeri/ ti restituisci agli elementi puri/ Il desiderio ormeggia al confine/ sulla soglia irremovibile del corpo”. Resta tuttavia, come pena ma anche come paradossale ricchezza, la soglia invalicabile dell'imperscrutabile: “Contemplo ad occhi spalancati/ quello che tu vedi ad occhi chiusi”.
L'ultima Sezione “Berliner”, racchiude cartoline di viaggio da Berlino, ritratti e panoramiche attente di una città che non è solo un luogo fisico ma anche e forse soprattutto un luogo della memoria e del mito, del sogno, a tratti dell'incubo, sempre e comunque un avamposto e un territorio di confine di un'umanità spesso cupa e seria che a bocca chiusa si muove nel vento.
Un libro composito questo di Luigi Cannillo, in grado di unire varie fasi del tempo, suo personale e del mondo, e differenti stati d'animo, osservazioni e spunti per un ragionamento che non è mai sterilmente freddo e anodino ma sempre conscio della fragilità e della forza della componente materica. La ragione si rende corporea e viceversa. Senza pretendere di offrire soluzioni assolute, Cannillo condivide con il lettore, con sincera onestà, momenti di dolore in cui si sperimenta la solitudine di fronte al mistero. Non offre risposte ma trova domande adeguate, quelle che è necessario farci tutti, mentre percorriamo i tratti di strada che ci toccano in sorte con il vento che a tratti ci spinge e a tratti ci sferza: “sono lampi e scatti nel corridoio buio,/ e sulla pelle vetro si alterna/ a velluto, nel vortice che scorre/ sul tappeto o si impenna/ un capitano naviga il destino”.

                                                    Valeria Serofilli
Pisa, 7 Maggio 2015








VALERIA SEROFILLI








uLISSE

racconti





















Le zaqare













Prefazione



Un caleidoscopio di immagini in grado di mette- re in contatto presente, passato e ipotesi di futuro. Racconti che non temono di navigare verso e ol- tre le Colonne d’Ercole della fantasia senza però mai scordare la terra ferma dei ricordi e dell’os- servazione diretta e concreta della realtà. Tramite un linguaggio stringato ma mai ignaro della forza dell’armonia e della lirica, fonte primaria e punto di partenza sia della produzione letteraria dell’Au- trice che della sua ispirazione.
I racconti sono preceduti da citazioni che orien- tano la ricezione, o meglio, fanno presagire conte- nuti e impressioni, incontri e sensazioni, contesti da scoprire passo dopo passo.
Il  ragionamento  sul  tempo  e  sul  destino,  sul- la ragione di ciò che è di per sé, per sua natura intrinseca, irrazionale e imprevedibile, non può avere basi di appoggio certe, se non nella certez- za effimera e vitale di una scommessa: quella del viaggio intorno al mondo immaginato e descritto da Jules Verne, oppure quello di Ulisse, ancora lui, figura imprescindibile,  il  cui  percorso  dura  anni ed è preceduto da immense attese e seguito da lidi sconfinati di rimembranze, rimpianti e volontà di partire di nuovo, nonostante tutto. Ma l’interpreta- zione soggettiva e l’accorato auspicio dell’Autrice


la conducono a dare vita ad un Ulisse atipico, lon- tano dall’immagine consolidata e prevalente, spin- to dalla volontà di un ritorno definitivo in quanto appagato dall’amore finalmente raggiunto, privo quindi di ulteriori pulsioni di fuga.
I riferimenti autobiografici, caratteristica pro- pria della Serofilli, sia in ambito narrativo che nel- la sua scrittura poetica, compensano in parte la componente fluida del moto mentale e narrativo. Senza tuttavia fare evaporare del tutto quel senso di mistero che si cela a volte, in modo preponde- rante, proprio dietro e dentro gli atti e gli ogget- ti in apparenza più quotidiani e prevedibili, come ad esempio nel racconto “Qui c’è il sole” dedicato alla madre e al suo mondo circoscritto nell’ambi- to delle mura di una casa, che, in virtù del potere immenso della fantasia e del ricordo, risulta in ul- tima istanza assolutamente libero, privo di barriere e autenticamente poetico. Questo racconto sembra esulare  dai  temi  prevalenti  del  viaggio,  ma,  per la sua natura ossimorica, in realtà risulta del tut- to consono ed anzi in grado di illustrare ulterior- mente, per analogia e contrasto, i simboli e i con- tenuti di maggior rilievo e presa emotiva. Del tutto esplicite in uno dei racconti da cui non a caso la raccolta prende il titolo, le tematiche del viaggio e della ricerca del si ritrovano nelle varie storie in forme diverse ma in ogni caso similari e cariche di risvolti simbolici e allegorici a seconda delle si- tuazioni, dei protagonisti e degli intrecci. Anche il testo “Sirena”, il cui titolo stesso rientra nel cam- po semantico del mare, è unito agli altri racconti dal sottile fil rouge del potenziamento delle normali


capacità percettive condotte al di là delle comuni caratteristiche e capacità umane. In questo conte- sto il titolo di un altro dei racconti, “Un viaggio dentro”, assume una valenza altamente simbolica al punto da poter essere considerato alla stregua di un potenziale titolo alternativo per l’intero volume. Il viaggio della Serofilli, per scelta dell’Autrice, su- pera con levità le barriere del tempo e dello spa- zio, consentendo in tal modo anche l’inserimento di racconti di tono quasi fiabesco come Natale da Gatti, dalla raccolta Comete per la coda, per adul- ti che si sentono ancora bambini.
La narrazione della Serofilli in questo suo libro
costituisce quindi un’esplorazione di ciò che è per- cepibile e, in modo ugualmente presente e urgente, di ciò che non si riesce a visualizzare, quello che resta al di là delle facoltà umane. Ciò che assilla e impaurisce ma al contempo attrae, quell’onda che cela l’orizzonte ma verso cui si dirige la prua, con una sorriso folle ma irrinunciabile.
Alcuni racconti sono di impronta più “lirica”, vele aperte ad un vento malinconico ma lieve. Al- tri sono tenacemente improntati alla ricerca di una logica ferrea che sfugge, si eclissa o si sposta di qualche grado, in modo costante e beffardo. Una sconfitta accettata in partenza, quella della naviga- zione cieca, quindi, a suo modo, una sorta di pa- radossale vittoria. “Perché il bello consiste nell’es- sere di ritorno da ogni dove senza essere andati da nessuna parte se non dentro se stessi e il proprio animo”, scrive la Serofilli. Il paradosso si fa ossi- moro e viceversa, in un gorgo continuo, immutabi- le e cangiante, che induce a smarrire la rotta, op-


pure a ritrovarla, nell’attimo in cui si accetta che il viaggio non è il punto d’arrivo ma il percorso. Nei racconti di questo libro la memoria si unisce alla riflessione sul presente e sul futuro, su timori e aspirazioni dalla cui coesistenza emerge il senso del viaggio la cui meta è, per la voce narrante e per ogni viaggiatore di parole e di sogni, un’Itaca da definire e ridefinire gradualmente tramite una narrazione sempre viva e aperta all’incontro con istanti ed echi della storia, individuale e collettiva. Perché, citando l’epigrafe del racconto eponimo, possiamo affermare che, nel subconscio, molti pen- sieri hanno “nostalgia di casa”. Un’estensione lo- gico-etimologica del termine “nostalgia”, che nega il concetto nell’atto di confermarlo, oppure il con- trario. Il tutto ulteriormente complicato dal fatto che il subconscio è un luogo altro della coscienza, quasi un alter ego, una persona estranea che abi- ta dentro di noi. Sulla base di questi contraddizioni e di questi attriti, fertili, o almeno in grado di ge- nerare scintille che illuminano per qualche attimo il panorama, la Serofilli ha messo insieme tessere narrative che costituiscono un mosaico interessan- te, di impronta personale, una prosa che ammicca a tratti alla poesia ma senza mai scordare l’assillo dell’osservare per tentare di comprendere, se non la verità, qualcosa che, nel bagliore dei mari, tra la Colchide e le nostre città, tra i secoli passati e le asprezze del presente, le possa somigliare.

ivano  Mugnaini








introduzione



Considerazioni critiche sulla raccolta di racconti
“Ulisse di Valeria Serofilli.
La raccolta di racconti intitolata ulisse, i cui seg- menti potrebbero essere considerati dei frammenti in prosa, in molti casi, per la loro brevità, ha per inci- pit un breve scritto dal titolo eponimo sottotitolato (Il mio Ulisse).
La prosa di Valeria Serofilli è intensa, icastica e concentratissima con accensioni e spegnimenti e, at- traverso la diegesi, ci accorgiamo che l’io narrante al femminile, parla di se stesso e del suo rapporto di coppia in modo disincantato.
L’autrice narra una relazione nella quale ulisse stesso, ed anche Adamo, divengono simboli dell’ama- to, al quale Valeria si rivolge con passionalità, affer- mando di essere presa e lasciata da lui come un’onda che sbatte sullo scafo.
L’epica omerica di  Ulisse si fa tout-court epica del quotidiano nel nostro postmoderno occidentale, in un gioco originale e sapiente di specchi...
I toni sono a volte sensuali, come quando la donna parla dell’odore dell’uomo della sua vita e ci s’im- merge proprio nella quotidianità, nel momento in cui una telefonata apre un mondo nuovo e si esce dalla metafora della navigazione, filo rosso del racconto,


che è sottesa alla tematica del viaggio.
Saliente il passaggio iniziale del testo in cui l’io narrante afferma che gli chiedono di scrivere e  af- ferma che la sua situazione sentimentale blocca i suoi sensi e la sua mente e che si trova a ragionare con la parte debole della testa, che si chiama cuore.
Da quanto suddetto si deduce che l’io narrante è una scrittrice e ciò potenzia il fascino della narrazio- ne con il meccanismo sempre efficace della scrittura nella scrittura stessa.
Tema ricorrente nei testi è il mare e il frammento Pagina mare (figlio dell’onda) ha un afflato vagamen- te filosofico; in esso, affrontando una tematica molto interessante,  l’autrice afferma che c’è stata una rivo- luzione tra uomo e mare: liquidità e fisicità: due real- tà così diverse, come possono accordarsi?
Afferma la poeta che, nonostante l’apparente di- versità tra le due sfere, si può trovare una concilia- zione tra i due elementi, nel loro essere entrambi simboli della vita.
Perché l’uomo è un abisso e come l’acqua un flui- re in continua transizione tra le cose da compiere e il già portato a termine.
In generale una scrittura avvertita e lucida, che può identificarsi con sensazioni e stati d’animo di tutti i lettori.
Nella prosa dell’autrice si riscontrano leggerez- za, precisione e velocità, per usare termini tratti da le Lezioni americane di Italo Calvino, scrittore citato dalla Serofilli stessa.
È detto il tema dell’amicizia e centrale è quello


del viaggio fondamentale che è quello in noi stessi.
L’autrice ricorda una sua felice esperienza amoro- sa in treno con un suo amato, nel loro abbracciarsi in una scompartimento e il controllore che entra e li disturba.
La poeta rivive la gioia di quei momenti quan- do una vita intera si azzera e si raggiunge una vaga estasi.
un esercizio di conoscenza sottende questi splen- didi racconti della Serofilli che tendono il loro arco con frecce che mirano al senso di una pedagogia della gioia che si coniuga ad un salutare e salvifi- co anelito ad una visione del mondo che si basi su un elogio dell’immaturità, intesa in senso positivo e produttivo. Del resto l’ulisse omerico è una figura vincente per la sua intelligenza e la sua forza e che supera molte prove e non è un caso che l’autrice, tra tanti eroi epici, abbia scelto lui come del resto ha fatto anche Luigi Malerba nel suo romanza Itaca per sempre, nel quale un ruolo fondamentale ha proprio Penelope.

raffaele Piazza









Agli uomini della mia vita

















Felice come Ulisse chi ha varcato i mari, o chi fino alla Colchide si è spinto, Giasone, che poi tornando esperto e ricco di ragione
il tempo che gli resta si gode fra i suoi cari!

J. du Bellay, Les regrets










ulisse
(Il mio Ulisse)



Felice come Ulisse chi ha varcato i mari, o chi fino alla Colchide si è spinto, Giasone, che poi tornando esperto e ricco di ragione
il tempo che gli resta si gode fra i suoi cari!”

J. du Bellay, Les regrets

Fuori piove. Ma io a combattere la mia tempe- sta privata, il mio uragano personale con te,che mi prendi e mi lasci come l’onda che sbatte sullo sca- fo. ulisse sirena, naufragio d’anime. O Adamo e la sua donna, dai tempi.
Mi chiedono di scrivere, ma questa delusione blocca i miei sensi e la mente, mentre mi trovo a ragionare con la parte debole della testa, che viene chiamata cuore, con la viva convinzione che se tutti cominciassimo a pensare e decidere col cuore, l’in- tero universo ne trarrebbe giovamento.
Poi un lampo, uno squarcio di luce, un cambio di rotta: una telefonata ad aprire un nuovo mondo.
E torni da me, ed io a riprenderti ancora, perché anch’io ho tanto da farmi perdonare. Anche se mai quanto te. È che l’amore lo riconosci dall’odore e tu hai l’odore dell’uomo della mia vita, un po’


macchiato d’inchiostro e penna.
Quest’ultimo periodo abbiamo avuto grossi pro- blemi, è vero, così accettando ogni compromesso che possa portare un qualche vantaggio, tra il vis- suto e l’immaginato io in cucina a comporre inuti- li poesie e racconti pseudo calviniani, e tu romanzi nella camera da letto.
E a sprazzi riemerge la nostra storia, mentre sempre più labili i confini tra dentro e fuori, co- scienza frammentaria di una unione. Ed è ancora poesia.
Ora e da ora, con te, sarà un nuovo viaggio. Ri- prende il volo d’Icaro, ma con ali che non siano di cera, che non si sciolgano al fuoco di nuove pas- sioni: basi più solide per nuove fondamenta. Così ti dico Buon viaggio, mio ulisse –.
Con l’augurio, più che altro a me stessa, che tu sia un ulisse omerico, che torna a casa dopo il var- co delle colonne d’Ercole, e non dantesco, a per- dersi nell’illimitato.









Pagina  Mare

(Figlio dell’onda)



Solo dopo aver conosciuto la superficie delle cose ci si può spingere a cercare quel che c’è sotto.
Ma la superficie delle cose è inesauribile.

italo Calvino, Palomar

Vi sono state due rivoluzioni, una tra l’uomo e la terra e una tra la terra e il mare”, era solito spie- gare il mio professore di geografia nel corso del- le lezioni universitarie. Per la proprietà transitiva, aggiungo, ve n’è stata dunque una tra l’uomo e il mare. Liquidità e fisicità, due realtà così diverse, come possono del resto andare d’accordo? Forse solo in virtù del fatto di essere entrambi, uomo e mare, simboli della dinamica della vita e della cre- azione in senso più ampio.
Ma cos’è mai l’uomo? Non è forse un abisso, non è forse, come l’acqua, un fluire continuo in continua transizione tra le cose da compiere e il già portato a termine?
Posso provare a dire, semmai, cosa non è: non
è certo un essere puramente fisico, come sostiene


l’Holbach. Se infatti le ossa si ricollegano alla ter- ra, il suo sangue non richiama forse l’acqua, tanto che la medicina cinese nella teoria dei quattro mari cosmici stabilisce una stretta connessione tra il cor- po umano e il cosmo in cui la testa è il cielo, gli occhi il sole, il sangue la pioggia e gli umori e le vene i fiumi?
È forse in quest’ottica che il Martin Eden di London si getta nell’acqua restandone per sempre inglobato, diventando, da buon marinaio aspirante scrittore, un tutt’uno con la pagina mare, inchiostro di vita per sempre impresso sul foglio in cui, pro- fumi, colori, suoni, ricordi, aspirazioni e desideri si corrispondono in un infinita sinestesia.

Perché, facendo mio il pensiero di Calvino,” solo dopo aver conosciuto la superficie delle cose… ci si può spingere a cercare quel che c’è sotto. Ma la superficie delle cose è inesauribile”.








valeria serofilli








vesTali

poesie





















Plumbaqo













Prefazione


Una raccolta elegante che ha la pretesa di significa- re e interpretare l’Amore come mero fulcro dell’anima, l’unico sentimento che ci può restituire tutto, o almeno in parte, quel grande bisogno interiore di sentirsi dop- pio, con l’altra metà del cielo.
La poetessa Valeria Serofilli sembra approfittare di una vacanza in Grecia per sfoderare tutta la sua potenza immaginifica, il suo sirtaki, la sua voglia di donarsi al caldo grecale dell’isola incantevole, esorcizzando l’apo- teosi dei sensi, alla dolce e stringente realtà di un idillia- co sentimento che la prende fino in fondo all’anima.
La raffigurazione poetica è di grande impatto, i sensi sono allertati e desiderosi di una danza duale, di un in- contro alla luce abbagliante, ai venti prorompenti dentro un’atmosfera che sembra rubarle emozioni forti, carichi di quell’ardore che le fa dire:
Tutti gli incensi/ dall’ambra al muschio selvatico non valgono una stilla / del profumo della tua pelle dopo l’amore
mentre intesso tasselli musivi sul tuo corpo:
ogni tassello un ricordo/.../
Così come una nuova Vestale, la Serofilli ama avvol- gersi in pepli di nostalgia e di abbandoni, utilizzando schemi fonetici e simbolici di grande impatto emotivo:
“Quale più annichilente vertigine a stordirmi e rinsavire?
Per poi ancora ritornare alla memoria, al richiamo dolcissimo e suadente di una magia amorosa:



all’amore, al fuoco di passione non chiedo verità
tra il limite del sogno e recriminazione...
in altri versi la poetessa raggiunge l’acme dei sensi in un trascorrimento emozionale che entra  di prepotenza nelle sue viscere, nel suo sangue:
sul tuo corpo tracce
del nostro amplesso/ miste ad altri odori
di cui non mi spiego il senso...
Sono un oggetto del desiderio, una passione inestin- guibile quelli che paiono attraversare le figure retori- che di queste composizioni liriche, per attestarsi a pura e semplice personificazione dell’oggetto amoroso. Una forte vibrazione che risveglia l’anima dal torpore, facen- dole gustare il miele della frenesia, in moti d’anima per- cettibili:
vendemmia di pelle/ occhi negli occhi. se è tutto inganno
inganno sia perché è questo
il più dolce annegamento.
E continua la sua folle odissea, come Penelope tesse
la sua tela, invano, ella si fa magma e fuoco, nelle vene,
scorre quel fluido che non dà requie, che mostra la sua
emozione in continui assalti e saltuarie epifanie:
All’amore, al fuoco di passione
non chiedo verità
tra il limite del sogno e recriminazione.
e trascrive parole di fuoco alla sua pagina appassio- nata e vibratile, presta l’orecchio alle sibille, come sire- ne che incantarono Ulisse, ella si appropria dell’imma- gine letteraria per sovvertire il suo irrazionale afflato cosmico che entra prepotente nel suo rapporto amorevo- le; lo tramuta spesso in vortice, in abisso, in foresta, in fiore, in albero, lo nutre dell’humus del sogno, in deside-


rio, in carne che fanno la differenza, mentre si scioglie in lei, la fatica dell’amplesso, che malgrado conceda paradisi inimmaginabili, crea anche abissi di perdizione senza scampo:
E la sete, la pazzia/ la cieca corsa verso il mare aper- to smarrendo il mio sguardo/ oltre la soglia dell’amore.
La poetessa sa che vi è un punto di non ritorno, un transfert che ingenera la follia di ogni trasformazione, forse di ogni abbandono e non può rassegnarsi, lo de- scrive come un indicibile arrendevole volo, qualcosa che procede a rilento nell’estinguersi, perché ormai è pene- trato nelle vene e nel sangue, lasciando spasmi e sof- ferenze, graffi e contusioni: l’amore , l’amore toglie, perciò pronuncia questi versi con pacata rassegnazione, li scandisce attraverso il singulto, il respiro e il canto; come un sogno che sa trasmettere realtà inintelligibili, ella si appresta forse alla fine, forse ad un nuovo addio con evidente sofferenza:
itaca per me/ è il tuo risveglio
quella frazione di luce, sul tuo volto
la rugiada mattutina, sul tuo petto
il tubare delle tortore, sul cornicione
per il buongiorno
mentre felice dicevo - sono tornate
(le tortore sono tornate al cornicione
Questa simbiotica fusione si avvicina ad una sorta di mito che persegue le coordinate dello slancio amoroso, ne marca fortemente i simboli. Vi è una metaforicità che di frequente si abbandona all’azzardo e all’inquietudi- ne di una forza epifanica di resurrezione. La Serofilli, sa misurare l’aspirazione della memoria ad estendersi alla precarietà dello spazio temporale.
In questa raccolta l’empatia entra in gioco prepoten- temente, descrivendo tempi e luoghi, intervalli e soste. Tutto evoca un vagheggiamento, una visione onirica che si propaga e dà compattezza alla raccolta, la coagula


dentro un presentire amoroso straordinariamente vivo, eppure fragile.
L’idillio è palpabile, crea atmosfere e sperdimenti fi- sici; l’input emotivo vi entra in sintonia, ma cerca anche una via di fuga. L’anima tenta l’imperturbabilità ma è suo massimo delirante approdo. Una sorta di prodromo dileggio verso quei rari momenti di abbandono è d’ob- bligo, per ritemprare energie, misurare il turbamento. La poetessa carica di vitalità e di intrecci semantici an- che le più piccole antonomìe con impulsi ed estensioni che ne rafforzano valenza e vitalità, raggiungendo per così dire la Bellezza della forma, entro la panica esplo- sione delle sue configurazioni verbali, che infine ne dan- no pienezza di esiti tra i più felici e realizzati.

Milano 6 dicembre 2014

ninnj Di Stefano BuSà













Sezione I

Sirtaki










“Sirtaki”



eccomi vestale/ in estasi di te 
al caldo Grecale
mentre danzo sirtaki, e creo

abbracci peplo, in voluttuoso ordito 
mentre ti accerchio, circuisco e tesso/ veli 
tolti ad uno ad uno

eccomi vestale/ in estasi di te 
al caldo scirocco

mentre danzo sirtaki, e creo 
tu il mio pareo

1 commento:

  1. Ringrazio il caro Nazario per il post unitamente ai critici che si sono occupati delle prefazioni e note ai miei due volumi di prossima uscita con Ibiskos Ulivieri Editrice.Valeria Serofilli





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