martedì 21 febbraio 2017

N. PARDINI: LETTURA DI "NON VEDO, NON SENTO..." DI ESTER CECERE

Ester Cecere: Non vedo, non sento… Wip Edizioni. Bari. 2017. Pg. 84. € 10,00



Insolita pioggia

Mutò colore il cielo all’improvviso,
misterioso improvviso temporale,
vermiglio come al tramonto divenendo.
Sottili pungenti e rosa
d’una pioggerellina le prime gocce.
Subito violento
un acquazzone rosso sangue.
E purpurea l’acqua dilagava,
ogni cosa ricoprendo,
laghi e fiumi invadendo,
(…)


Ester  Cecere travasa la sua anima nel mondo, nelle piccole cose, le più umili, nelle grandi questioni, e le immagini, intinte del suo pathos, si fanno serbatoio a cui attingere sostanza per la poesia.  Uno scorrere di lampi cromatici, di avventure paniche, di metamorfosi osmotiche, di metempsicotiche  venature di efficace trasposizione. Sì, è la natura che l’accompagna per fare da ancella alla sua rivelazione. Ed essa non è mai frutto di una semplice relazione bucolico-georgica; nella Poetessa assume un significato altro, e alto. Nobilitata dalla sua sensibilità si fa estremamente umana, ogni ambito non è altro che un pezzo di vita, un brandello d’animo; un momento ora sereno, ora pungente, ora addolorato, ora risentito, ora duro, e altrettanto duro nella visualizzazione poetica… Il fatto sta che Ester non può sopportare le cose fasulle: l’incoscienza, la malafede, l’ingiustizia… è qui che il suo animo si ribella per esperienza patita sulla propria pelle, sulla propria storia. Ho sempre affermato che per scrivere di un autore/trice è estremamente necessario conoscerne la personalità; l’intimità di cui trattare: ascoltarla, parlarle, percepire le sue idee, i suoi fondamentali, il grado di sensibilità, gli affetti, i tormenti, le gioie, le inquietudini, le memorie; altrimenti si rischia di cadere nel solito tecnicismo avulso, freddo, asettico, disumano, criticamente lezioso. La lettura dei versi ci scorre addosso con tutte le proposte vicissitudinali: cenci maleodoranti, passi infastiditi e frettolosi, lacrime del mondo, Natali di drappi viola, spettrali atmosfere, vite di bambole e sdegno di pistole, senzatetto in terra straniera, sonni di morte,  rimpianti di risa cristalline… E se un sentimento di pacata tristezza, di umano dissenso verso una società  da rendere più umanamente umile e giusta, si insinua nel sottofondo come leitmotiv, è dovuto alla netta e solida ispirazione che fa l’opera compatta,  intensa di ricchezza contenutistica. L’inquietudine della Nostra non è altro che quella di tutti noi, anche se personalissima, dacché il suo messaggio è franco ed oggettivo. Arriva con pungente acredine; con mordace e forte comunicazione; in questo sta la sua grandezza: nel saper vivere e pensare con un animo e una mente disposti ad incontrare la gente, il loro esserc-ci, i loro disagi; a capire l’umano esistere con una trepidazione tale da coinvolgere empaticamente l’altro. Ella allarga le braccia; allarga il suo orizzonte, le sue antenne sensitive per attrarre nel suo retaggio ogni questione umana, attuale, contingente; ogni problema sociale, ogni intimo travaglio per ritrovarvi parte di sé: triste il Presepe, gay, Alla bimba usata come kamicaze in Nigeria, Ai bimbi deceduti in Siria a causa del gas, A un bimbo siriano, A un bimbo siriano che dormiva tra i tumuli dei genitori, A Hashem Shabaani pacifista impiccato, Ai popoli privi di libertà, Al piccolo migrante nato e morto durante la traversata, Ad Aylan, di tre anni, trovato morto sulla spiaggia di Bodrum, Ai migranti deceduti nella stiva di un barcone, Bruxelles, principessa, lavavetri, Dio Allah, il ritorno di Erode, bambini senza scarpe, reticolati, la bambola… Non  esiste problema più o meno scottante che non venga affrontato. Non esiste stortura umana che la Poetessa non faccia sua, per soffrirne col cuore del mondo.
Poi tutto sembra quietarsi: nelle ultime composizioni l’attenzione della Cecere è rivolta alla donna; alla sensibilità spesso nascosta di un essere soggetto  a incomprensioni, a malinconie:

Quando i tuoi occhi sono
nuvole grigie di malinconia
dal vento disperse,
sorridigli… (Sorridigli),

tutto si fa più intimo:

(…)
Esplodi
come alba che le tenebre disperde

Concludere con la lirica in cui Ella immagina di lanciare una bottiglia in mare con ipotetiche speranze di un messaggio, significa sintonizzarsi ancora di più con la sua espansione emotiva; col suo generoso ancoraggio: 

(…)
Un delfino ci giochi
in un mare ormai ostile.
Un migrante naufrago
lo stringa a sé forte.
Giunga su povere coste
a pulsare per misere genti.
Lo raccolga curioso
un bimbo infelice…

 D’altronde sono le parole a tracciare il grado di sensibilità della Poetessa; il loro sofferto e vissuto tòpos incastrato in versi di grande significanza incisiva che corrono con alternanze varie per oggettivare gli abbrivi emotivi, oscillanti come melisma; come note di un pentagramma che si articolano a seconda della melodia o del rock:

Il cuore
in una bottiglia ho rinchiuso
tra spumeggianti marosi.
Una risacca cattiva
i piedi insidiava.
Schiaffeggiava freddo il maestrale
il viso dalla pioggia rigato.

Che incontri acque tranquille.
Che baciato dal sole galleggi.
(…) (Il cuore in una bottiglia).

Acque tranquille, baci di sole, schiaffeggi di maestrale: questo è il suo dizionario poetico; il suo modo di dire: una simbologia zeppa di sinestetiche intrusioni per soddisfare i suoi empiti epigrammatici.

Nazario Pardini


Arcobaleno infranto

D’improvviso,
infranto s’è l’arcobaleno.
Arco leggiadro
che della tempesta
le paure fuga.
Multicolori acuminati frammenti
Crudeli bucano
il cielo terso
che ora piange sulla terra
lacrime stinte di frammisti colori
come clown sconfitto

Ester Cecere: dal testo



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