venerdì 7 aprile 2017

ENEIDE: "LA MORTE DI DIDONE"

TRADUZIONE DI ANNIBAL CARO, 
LIBRO IV 




(...)
Spoglie, mentre al ciel piacque, amate e care
A voi rendo io quest’anima dolente.
Voi l’accogliete: e voi di questa angoscia
Mi liberate. Ecco, io son giunta al fine
De la mia vita, e di mia sorte il corso
Ho già compito. Or la mia grande imago
N’andrà sotterra: e qui di me che lascio?
Fondata ho pur questa mia nobil terra;
Viste ho pur le mie mura; ho vendicato
Il mio consorte; ho castigato il fiero
Mio nimico fratello. Ah, che felice,
Felice assai morrei, se a questa spiaggia
Giunte non fosser mai vele troiane!
E qui su ’l letto abbandonossi, e ’l volto
Vi tenne impresso; indi soggiunse: Adunque
Morrò senza vendetta? Eh, che si muoia,
Comunque sia: così, così mi giova
Girne tra l’ombre inferne: e poi ch’il crudo,
Mentre meco era, il mio foco non vide,
Veggalo di lontano, e ’l tristo augurio
De la mia morte almen seco ne porte.
Avea ciò detto, quando le ministre
La vider sopra al ferro il petto infissa,
Col ferro e con le man di sangue intrise
Spumante e caldo. In pianti, in ululati
Di donne in un momento si converse
La reggia tutta, e ’nsino al ciel n’andaro
Voci alte e fioche, e suon di man con elle.
N’andò per la città grido e tumulto,
Come se presa da’ nemici a forza
Fosse Tiro, o Cartago arsa e distrutta.
Anna, tosto ch’udillo, il volto e ’l petto
Battessi e lacerossi; e fra la gente
Verso la moribonda sua sorella,
Stridendo, e ’l nome suo gridando corse
(...)
Ma dal furore ancisa, non l’avea
Proserpina divelto anco il fatale
Suo dorato capello, nè dannata
Era ancor la sua testa a l’Orco inferno.
Ratto spiegò la rugiadosa dea

Le sue penne dorate, e ’ncontra al sole
Di quei tanti suoi lucidi colori
Lunga striscia traendo; indi sospesa
Sopra al capo le stette, e d’oro un filo
Ne svelse e disse: Io qui dal ciel mandata

Questo a Pluto consacro, e te disciolgo
Da le tue membra. Ciò dicendo, sparve.
Ed ella, in aura il suo spirto converso,
Restò senza calore e senza vita.


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