martedì 4 aprile 2017

FRANCO CAMPEGIANI SU "MATERIA GREZZA" DI AURORA DE LUCA

Materia grezza, silloge di Aurora De Luca
(Enoteca letteraria, 1 aprile 2017)

Franco Campegiani,
collaboratore di Lèucade

I testi validi resistono al tempo. Magari sulle prime non fanno clamore, ma a lungo andare, quando le luci della ribalta si spengono, restano solo loro a dominare la scena, con la luce che da loro stessi emana, senza bisogno di effetti speciali, di abbagli e luci artificiali. Rileggendo "Materia grezza", di Aurora De Luca, testo che mi onoro di avere introdotto nella splendida edizione curata da Genesi nel 2014, mi sono accorto di aspetti non marginali che inizialmente mi erano sfuggiti e che ora mi chiariscono meglio la scintilla da cui divampa il fuoco della sua poesia. E' una sorpresa che non capita spesso, perché solo quando i testi hanno valore ogni nuova lettura ne rivela volti nascosti. Il loro messaggio non è univoco, come accade nei linguaggi razionalistici, ma balena in folgori sfuggenti che non riesci ad abbracciare, ad ingabbiare, ad afferrare in maniera definitiva. Sicché puoi coglierne di volta in volta solo aspetti parziali.
Non voglio fare filosofia a tutti i costi e a buon mercato, ma il fatto è che questa poesia ha radici profonde di pensiero, delle quali per la verità mi ero già accorto, ma che nella rilettura attuale mi sono balzate agli occhi con evidenza straordinaria. Per farla breve, dirò che la visione del mondo che qui affiora è quella di una realtà esistenziale governata da una legge impervia e salvifica, che è quella dell'amore, quella dell'attrazione dei contrari. Una sapienza diffusa nel creato intero, e quindi innata in ogni essere vivente, anche se qui si parla di esseri umani. Una forza numinosa, primigenia, che viene direttamente dalla creazione universale e che appartiene ad ogni singolo essere per diritto di nascita, senza bisogno di lauree, di iniziazioni, di studi particolari. E forse è grezza per questo, tale materia. Sarei tentato di parlare di spirito, anziché di materia, se il termine non fosse sfacciatamente inflazionato.
Un sacro primordiale, comunque, una scintilla di intelligenza cosmica, "una sostanza, dichiara Sandro Angelucci in postfazione, che non cerca di raffinarsi ma, viceversa, di inselvatichirsi, con la convinzione di rinvenire, nei transiti più ostili e meno battuti, l'essenza autentica dell'amore". Condivido pienamente: l'amore è alla base di tutto, è la pietra miliare dell'intero universo e più si tenta di evolversi, di allontanarsi da questa radice, più si pone a repentaglio la propria incolumità. Non si pensi tuttavia all'amore sdolcinato e svenevole, tutto carezze e baci. Il vero amore, per esemplificare, è quello della cagna che scaccia i cuccioli affinché diventino padroni di se stessi. L'amore si ciba del suo contrario, è incanto che porta sulle proprie spalle il disincanto, il dolore. E' amore sudato e pianto, ed è in tal senso che la materia grezza si evolve, si affina. Si rafforza mettendosi alla prova, rischiando di perdersi senza perdersi, senza smarrire le proprie primitive ragioni.
E' un'alba perenne, l'amore, che accetta di morire per risorgere, affinché dal tramonto nasca un giorno nuovo. "Dove la fine inizia, lì la vita si capovolge", scrive Aurora. E ancora: "Portami nel luogo / della fine, / dov'è l'accapo / non visto / del vento". L'amore è sempre spiazzante, non è mai schematico, non si adagia su posizioni acquisite. Pone tutto in discussione, l'amore. C'è sempre un'alternativa, una palingenesi, una differente prospettiva. Al di là del maschile c'è il femminile, al di là del giorno la notte, al di là dell'estate l'inverno, eccetera. C'è sempre un'aldilà. E al di là di se stessi? c'è un altro se stesso, e poi un altro, e un altro ancora. Il fatto è che vivendo si perde smalto, si perde autenticità: è inevitabile. Tutto si corrompe vivendo. Vivendo si muore. Ma giù, nel fondo, c'è la nostra materia grezza, la nostra essenza d'amore incorruttibile, il nostro stampo invisibile che ci riporta a noi stessi, alla nostra autenticità, dandoci la possibilità di ricominciare.
Scrive Aurora: "Che tu non abbia ori nello sguardo, / né aquiloni nelle braccia, / ma verità negli occhi / e grazia giù nel fondo, / per le strade delle ossa. / Che tu abbia materia grezza / e genuina essenza". Un augurio che lei rivolge, si, all'amato, ma che prima ancora rivolge a se stessa. L'altro con cui dialoga (perché di dialogo si tratta, e non di monologo) è innanzitutto interiore: un colloquio con se stessa, con il doppio spirituale di se stessa, che non è un soliloquio, ma una vera conversazione. L'altro, l'amato reale, carnale, c'è, ma subisce una sorta di identificazione, per transfert, con l'io spirituale. Gli amanti sono specchio l'uno per l'altro e ciascuno, riflettendo nell'altro la propria immagine, evolve nella conoscenza di se stesso. Tutto è dualità, complementarietà, capovolgimento. Vuoto e pieno, Yin e Yang, tessere di un immenso mosaico che solo la forza dell'amore può tenere insieme.
Anche in questa raccolta, come nelle precedenti, la poetessa ci proietta nell'alba incontaminata di una stagione d'amore. Lei sente che l'amore è un fondamento, una realtà elementare, materia grezza appunto, che lo scalpello della vita scolpirà per farne una mirabile scultura. Nella materia grezza è già imprigionata la figura che l'artista libererà nel tempo, ma l'elaborazione non verrà mai conclusa definitivamente, per cui egli si troverà sempre all'inizio dell'opera, ai primissimi colpi di scalpello, con una materia sempre grezza da lavorare. Fuor di metafora, si è sempre al primo vagito e non si finisce mai di fare esperienza. Sacrificio, dunque, applicazione, disposizione ad accettare le sfide e le minacce dell'esistenza, desiderio di porre alla prova la scintilla iniziale d'amore, di fare esperienza di quel fuoco misterioso.
Non dunque poesia di sospiri, ma poesia consapevole del fine costruttivo dell'amore. Non mi riferisco ovviamente alla costruzione di una famiglia (ciò sarebbe banale), quanto piuttosto alla costruzione coscienziale, all'interiore viaggio di conoscenza. Ed è questo il significato più profondo dell'amore: non un feticcio di cui si è succubi, ma una liberazione, un superamento di se stessi, una proiezione verso l'altro, verso ciò che è diverso e che non si conosce, ma che attrae regalando ali che volano nell'infinito. Amore come attrazione di contrari: "Abiti il lato opposto della mia strada, / dov'è la mia sponda ritratta e battuta". "Il contrario della tua luce / è la mia notte, / il tuo dolce è il mio amaro, / e se ti bevessi berrei la tua sete / che ha in me il suo contrario". Sta qui, in questa unità degli opposti, la materia prima (grezza per l'appunto) che costituisce l'avvio di un percorso che non giungerà mai al termine, ma che produrrà meraviglie e miracoli a non finire.
Una forza che chiede di porsi alla prova in avventure e peripezie d'ogni tipo. Un prologo che pretende sviluppi senza mai avere un epilogo, una fine. Così in amore si è sempre nello stadio iniziale dell'innocenza. Dove tutto si sfiora ("e mi sfiori poi, / poi mi guardi e di nuovo mi sfiori"). Per quanto vissuto, l'amore non verrà mai consumato totalmente. Sarà sempre una primizia, un dono sconosciuto, un fuoco che non si spegne, ma si esalta lungo i percorsi accidentati dell'esistenza: "così noi vivi, arsi e bruciati, / ce ne andiamo ignari / camminando nell'inverno, / pieni di luce e di calore e di fiumi odorosi". L'amore vive nel tempo mitico delle origini e delle dolci promesse. Nel tempo, dice Aurora, dei "semi protetti". I quali daranno frutti rinnovando l'inestinguibile prodigio della vita, giacché il seme ed il frutto stanno l'uno nell'altro e non sono separabili. La scissione è una dolorosa necessità del Tempo, ma nell'Essere ogni cosa è nell'altra. Ogni negazione presume un'affermazione, e viceversa: "Ci sono sguardi di cielo / nei gesti di terra e di fango". Ed "è sempre mattina".
Un amore così "non teme inverni tempestosi / e neppure torride estati". E' quel che è, e tale resta a dispetto di ogni possibile offesa. Anche se le ferite ci sono e lasciano il segno: "Ma che dolore vivere di carta / e non saperti dire niente"; "Che strazio / mio cielo, mio pane / spezzato, / mio tutto intero, / sapere che nulla / avverrà"; "m'accorgo che posso solo restare / a seguirti / a cercare di vederti". Infine la poetessa si rivolge alla margherita, al "taciturno stelo", rendendosi tragicamente conto che "alle sue domande / nessuno risponde". Problematicità. E' questo il tratto - filosofico direi - del nuovo corso poetico di Aurora De Luca, dove affiora la consapevolezza della negazione d'amore e del suo ruolo importante. L'invocazione è a restare ancorati nell'Essere, a dispetto del Tempo e delle sue illusorie offese ("Il tempo è la nostra invenzione / la nostra idea di nuvola che si muove"). In realtà nulla si disperde e ciò che nasce dall'Essere torna nell'Essere. Ogni tramonto contiene la promessa dell'alba, così la poetessa è e resta consapevole di vivere "il tempo bello / dell'armonia audace / tra la sorgente e la sua foce, / tra la mia gioia dolcissima / e la salatissima paura".

                                      Franco Campegiani


4 commenti:

  1. Franco ha introdotto l'Opera della nostra Aurora sabato primo aprile all'Enoteca Letteraria di Tonino Puccica, nel corso della Rassegna settimanale Iplac. Siamo giunti a ricevere un Autore ogni sabato ed è tributo necessario quello che cerchiamo di riservare ai nostri Amici e collaboratori romani. Franco, come sempre, ha dato voce e senso, come ha detto la stessa Autrice, alla Silloge "Materia Grezza" di Aurora De Luca. La sua teoria dei contrasti sembrava nata per la Raccolta di liriche dells giovane e magnifica Aurora.
    La relazione parla da sola. Io sono qui a ringraziare di cuore lui, Roberto De Luca, altro relatore e l'Aurora della Poesia e dell'Iplac!
    Maria Rizzi

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  2. "E' amore sudato e pianto, ed è in tal senso che la materia grezza si evolve, si affina. Si rafforza mettendosi alla prova, rischiando di perdersi senza perdersi, senza smarrire le proprie primitive ragioni.".
    Basterebbero queste parole del Critico per comprendere cos'è la "Materia Grezza" di Aurora De Luca.
    Ero presente: testimone di una serata d'autentica poesia.

    Sandro Angelucci

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  4. Amici Carissimi, ogni autore vorrebbe avere lettori capaci come voi siete stati per la mia Materia; non potevo sperare di trovare occhi più attenti e amorevoli.
    Le parole di Franco, come ho già detto in occasione della presentazione di sabato, sono arrivate dritte al nocciolo, tirandolo fuori ed esponendolo meglio di come io stessa avrei potuto fare. Io dispongo solo della mia 'Materia Grezza' per parlare di 'Materia Grezza'. Ed essa è una materia di contrasti.
    Ringrazio dunque ancora una volta e sinceramente Franco, per aver saputo e voluto scandagliare così a fondo la base del mio lavoro poetico, e di porlo in divenire. Ringrazio Sandro, amico 'preveggente'! E ringrazio Maria per essere capofamiglia, per saper porre in atto quelle istanze d'umanesimo: letteratura e amicizia!
    Ringrazio poi Roberto De Luca, anche lui attento ed accurato lettore delle mie parole, ringrazio l'Enoteca e Tonino che hanno ospitato 'Materia Grezza', Paolo Di Santo e Loredana D'Alfonso, i miei interpreti d'eccellenza, e il caro Nazario che mette le vele e fa viaggiare le mie parole!
    Vi abbraccio,
    Aurora

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