sabato 22 aprile 2017

N. PARDINI: LETTURA DI "POEMI DIDASCALICI LATINI" DI LUCIANO DOMENIGHINI




Luciano Domenighini,
collaboratore di Lèucade

Luciano Domenighini: Poemi didascalici latini. TraccePerLaMeta edizioni. Segrate (MI). Pg. 304. € 14,00

"Non ego divitias patrum fructusque requiro
 quos tulit antiquo condìta messis avo:
 parva seges satis est, satis est requiscere lecto
 si licet et solìto membra levare toro.
 Quam iuvat immites ventos audire cubantem
Et dominam tenero continuisse sinu
aut, gelidas hibernus aquas cum fuderit Auster,
 securum sommos imbre iuvante sequi!
             HOC MIHI CONTINGAT"
Io non voglio per me le ricchezze e i guadagni dei padri
che i raccolti procuravano agli avi antichi; un modesto raccolto
mi basta e, se mi è lecito, mi basta riposare nel mio letto e rinfrancare le membra nel consueto giaciglio.
Com’è bello starsene a letto e ascoltare il soffiare impetuoso del vento
stringendo dolcemente al petto la donna amata,
oppure, quando l’Austro invernale rovescia gelide acque, addormentarsi al sicuro, consolati dal rumore della pioggia che batte.
QUESTO MI TOCCHI IN SORTE.

Sicurezza, amore, sperdimenti panici, vertigini invernali, camini rassicuranti, tempus pacis
Che cosa di più attuale; che di più parenetico nel mondo in cui viviamo, fatto di materia, di guadagno, di una globalizzazione spersonalizzante e avvilente dove l’uomo ha perso la sua identità, la sua naturalezza; quanto bello sarebbe poter seguire i progetti campestri della poetica tibulliana di parole rasserenanti, di gesti semplici a misura umana; di meditazioni amorose accompagnate dal ticchettio di una pioggia che scongiura la guerra: hoc mihi contingat! Quanto attuale questa apologia della serenità; di suoni e sentimenti lontani dalle zuffe di viandanti sperduti in una società liquida e incapace, nemmeno, di aggrapparsi alle proprie memorie.

L’arte del tradurre non è di certo cosa semplice e da scrivani; occorre sapersi tuffare nell’opera affrontata, capire gli intenti dell’autore, la sua filosofia, la sua poetica, il suo modo di scrivere, le misure metriche, il linguaggio, dacché la parola può cambiare a seconda dell’uso e dell’impiego di un progetto riflessivo; di un contesto artistico. Insomma si tratta proprio di rifarlo un testo, dopo che la lettura ci è rimasta nell’anima a parlarci, a rammentarci, a nutrirsi delle nostre peculiarità, dei nostri  sentimenti e delle nostre preferenze. D’altronde è già indicativo il fatto della scelta: perché questi brani invece di  altri? perché questi autori? Senza dubbio dipende dal fascino che hanno e che hanno avuto nei confronti della sensibilità del traduttore; dipende da un contesto politico-culturale che lo stesso si ripropone di illustrare in maniera storico-filologoca risalendo ai contenuti principali  di tale periodo. In questo caso della classicità augustea; dei grandi poeti che diedero splendore al secolo che prese nome da Augusto: Lucrezio, Virgilio, Ovidio, (in Appendice: Orazio, Catullo, Properzio, Tibullo, Marziale) che, pur sotto diversi aspetti, rappresentano quanto di più perfetto abbia prodotto Roma: “… Questo libro contiene la versione di una raccolta di estratti da tre celebri poemi latini dell’età augustea. L’operazione letteraria, lungi dall’essere organica ed esaustiva, ha più che altro avuto un intento conoscitivo ed esplorativo volendo cogliere, lungo le tre prospettive tematiche, quanto basta per definire gli stili poetici e i caratteri dei tre autori al fine di configurare una rappresentazione sufficiente del pensiero e della sensibilità di quell’epoca storica, di quel mondo, di quella civiltà…” (da: Nota di presentazione del traduttore). Con questo non si vuol dire che Orazio possa aver superato col suo limpido stile l’arte focosa e ardente di Catullo, né che Virgilio possa dirsi spiritualmente al di sopra di Lucrezio. Il fatto sta che né prima di Augusto né dopo fu mai raggiunto quell’ideale di armonia classica, che è insuperabile nei grandi di questo periodo che, coi loro scritti, hanno ben delineato la filosofia epicurea, gli spunti di un sentito panteismo, o il bisogno di una pax che ben ritrattava lo spirito di un’età, forse l’unica, in cui il mondo romano era in quiete in tutti i suoi confini. Tanto è vero che la storiografia cristiana ne fece motivo fondante per l’avvento di Cristo. Scrive Domenighini: “… Da parte mia è stata un’esperienza coinvolgente e sorprendente riscoprire e confrontare la severa e ridimensionante concezione lucreziana del mondo, il frizzante e talora comico senso pratico del realismo ovidiano e infine la dimensione luminosa, olimpica e immortale, della poesia virgiliana. Per quanto ho potuto e saputo, nella mia traduzione vorrei che questa emozione fosse condivisa anche dai futuri lettori di questa breve antologia…”. Questo si ripropone Domenighini: trasmettere entusiasmo e passione; amore e emozione. Gli scrittori, tradotti con mano esperta  e con gusto per un verbo che in parte tradisce l’aspetto letterale a favore di un senso vòlto alla chiarezza, sono i cardini di una storia letteraria esauriente. D’altronde è così che si fa; questo è il metodo giusto per illustrare e ben definire un quadro culturale di un’epoca: le chiacchiere le porta via il vento, gli scritti sono di appoggio e di grande valenza esplicativa per chi li sa leggere.  E non è detto, neppure, che tali scelte, e certe motivazioni  non dipendano dal fatto che le letture siano stare fatte in particolari momenti, anche scolastici, e magari insieme a compagnie di antiche primavere. E’ così che, contornate da stati d’animo che le ri-lucidano e le rinnovano, assumono i connotati dell’immagine. Non credo nella traduzione oggettiva e impersonale; come non credo nella critica obiettiva. C’è sempre il mondo di uno scrittore dietro,  lì, in quei versi, in quei sintagmi, in quelle immagini, in quelle figure messe in campo con vitalità e trasfusione di “sangue”. Ma a parte sentimenti e nostalgie ciò che più conta è essere in possesso di conoscenze, abilità, cultura, preparazione linguistico-prosodica, grammaticale, morfosintattica; virtù letterarie e critiche di cui è dotato il nostro Domenighini. Lui è un professionista del verso, del verbo, dei marchingegni che lo connotano, e la sua ricerca è tecnica, precisa, autoptica; la sua competenza deve essere a puntino prima di intraprendere il lavoro; procede con acribia intellettiva ed emotiva per giungere ad una  conclusione di esegetico valore. “… D’altronde non è azzardato definire artista in questo caso il traduttore, dacché, dopo aver fatto sua la materia macerata dal tempo, l’ha ri-data alla pagina con tutti i crismi emotivo-esistenziali di cui tali testi si sono impreziositi: varie tappe di un’esistenza che tornano a vivere con la voce di autorevolissimi interpreti…”,  così mi ero espresso a proposito di una recensione sulla sua Petite Antologie. TraccePerLaMeta edizioni.  2015. Qui gli autori tradotti sono Tito Lucrezio Caro (De rerum natura – introduzione e brani scelti);  Publio Virgilio Marone (Le Georgiche – Introduzione e brani scelti); Publio Ovidio Nasone (Ars amatoria – Introduzione e brani scelti); in Appendice Orazio (Carmina, Liber quartus, VII); Catullo (Carmina, CI; Carmina, XXXI); Properzio (Elegie, I, I); Tibullo (Elegiae, I); Marziale (Ep., X, 74). Un excursus di classico impegno; di cultura latina che tanta influenza ha avuto sulla nostrana letteratura, non solo rinascimentale. Basterebbe citare Catullo: tutta la sua vicenda erotico-emotiva con Lesbia; le sue contrastanti e ossimoriche relazioni di una modernità sconcertante, dacché Catullo vive l’amore in tutte le sue sfumature; in tutti i suoi sobbalzi interiori: piacere, dispiacere, gelosia, morboso attaccamento, dolore, idealismo, realismo… Lesbia non vuol sapere di essergli fedele ed egli si ribella, pur pregando. Prima i suoi rimproveri sono misti ad una accorata speranza di ritorno, poi egli scende ad insulti volgari e in  una serie di versi ipponattei, spezzati  a singhiozzo, comanda a se stesso di non amare mai più quella donna. Possiamo certamente affermare che le scelte prese in considerazione da Domenighini non solo sono lo specchio della mentalità di un periodo storico sotto i molteplici  aspetti di vita e di filosofia: anima e corpo, vita e morte, amore come motore del mondo (Arte Venus nulla dulce peregit opus), virtù, uomo e Natura, l’arte del Bello, il rapporto con l’aldilà, il fatto di esistere con tutta l’inquietudine che comporta, l’impianto didattico e didascalico-alleforico che tanta influenza avrebbe avuto sul poema dantesco; ma anche un ontologico gioco di corsi e ricorsi che si ripetono nel tempo, fino ad assumere aspetti di estrema attualità nel mondo in cui viviamo:

Multas per gentes set multa per aequora vectus/ advenio has miseras, frater, ad inferias,/ ut te postremo donarem munere mortis/ et mutam nequiquam alloquerer cinerem…
(…)


Nazario Pardini       21/04/2017

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